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Cultura-Domenica Libri

Odio è il nome della Rosa. Vi racconto il nuovo libro di Umberto Eco

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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2010 alle ore 06:41.

«Ex falso sequitur quodlibet» è massima della logica antica (spesso attribuita a Duns Scoto) che vaticina la maledizione della conoscenza: se partiamo da una premessa falsa avremo conseguenze vere o false, ma senza poter distinguere le une dalle altre. Ciechi davanti a verità e menzogna. Secondo le «teorie della cospirazione» sul web, tutto quel che crediamo di sapere è falso, nessun ebreo è morto alle Torri Gemelle, l'Aids è diffuso dalla Cia, il fluoro immesso nell'acqua dalla setta degli Illuminati, Clinton ha ucciso 60 rivali, Obama è un musulmano di al Qaeda, Lady Diana è morta perché non rivelasse i piani extraterrestri di invasione del pianeta, la guerra in Afghanistan è scoppiata per costruire un oleodotto.

Ciascuno di voi sorriderà, salvo poi leggere che milioni di persone, spesso considerate perbene e in buona fede, sono persuase di queste fole. Mi capitò di partecipare qualche volta ai dibattiti di Bildeberg, che per i complottisti reggono segretamente il mondo, e quando via mail mi accusarono ribattevo sorridendo: «Ma se fossi uno dei 50 leader che in gran segreto controllano la Terra, l'Inter andrebbe così male?», visto che in quegli anni i nerazzurri vincevano poco o punto. Mai sottovalutare i teorici delle trame: non appena la mia squadra tornò a vincere, gongolanti, si rifecero sotto: «Visto eh? Siete voi a tirare le fila!».

Il cimitero di Praga, nuovo titolo del semiologo e scrittore Umberto Eco, è un feuilleton, un romanzo d'appendice. Narra del capitano Simone Simonini, ottocentesco nipote di un nonno reazionario, che gli inculca l'odio per gli ebrei, i massoni, i rivoluzionari e un cupo servilismo opportunista verso il potere, e quanto più occulto e opportunista è, meglio. Simonini conosce poco invece il padre, carbonaro e repubblicano, utopista di giustizia e libertà, che cadrà sotto il piombo francese difendendo la Repubblica romana. Sacrificio inutile: il figliolo, spia, falsario, traditore, canaglia, impotente e ghiottone, dedicherà la vita alle trame.

Darà una mano a far fuori Ippolito Nievo, sabotando la nave su cui viaggiava lo scrittore e ufficiale garibaldino, con le carte preziose dell'Intendenza delle Camicie Rosse, metterà la sua nell'affare antisemita che porta alla persecuzione contro Dreyfus in Francia, poi denunciata da Zola, sarà in prima linea contro i comunardi, mettendosi infine al servizio del temuto spionaggio dello Zar.

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Simonini impara da giovane che il confine tra «vero» e «falso» è, per chi vive di complotti, aperto. Il notaio Rebaudengo, suo maestro, lo ammonisce: «Sia chiaro, caro Simone... io non produco dei falsi, bensì nuove copie di un documento autentico che è andato perduto o che, per banale accidente, non è mai stato prodotto, ma che avrebbe potuto e dovuto esserlo...». Non sorridete. La pubblicistica di destra anti Obama funziona così, chiede al presidente di «provare» che non è una spia ed è davvero nato negli Usa. E davanti al certificato di nascita originale sghignazza: figuriamoci se non siete capaci di inventarne uno. Stesso metodo nei pamphlet no global del linguista Chomsky: dati autentici dal Financial Times e dall'Economist vengono frullati dall'odio politico in conseguenze assurde (vi prego, complottisti, non inondatemi di mail su questo: mi arrendo subito!).

Come ogni razzista e intollerante, Simonini odia senza freni. «Gli ebrei vogliono conquistare il mondo... i tedeschi sono il più basso livello di umanità concepibile... nei francesi l'ignoranza è effetto dell'avarizia... l'italiano è infido, bugiardo, vile e traditore». Irriso da una bella ragazza ebrea a Torino da ragazzo (gli dà del «gagnu», pischello in dialetto), Simonini schifa le donne fino a bramare di ucciderne una dopo un sabba satanico, ma disprezza socialisti e gesuiti, cattolici e protestanti, per farla breve odia il genere umano. Vi ricorderà Maximilien Aue, il nazista perverso de Le benevole di Littell, perché come lui vive secondo il motto «Odi ergo sum», esisto perché odio.

Simonini dividerà l'attenzione del lettore con l'abate Dalla Piccola di cui – non vogliamo svelare qui la trama di un romanzo contro le trame politiche – condivide abitudini, crimini, un dottor Jekyll e Mr Hyde nell'intrigo terroristico. La scena muta, dalla collina del Pianto Romano a Calatafimi dove Garibaldi vince la prima decisiva battaglia (che Eco riprende da testimonianze originali, secondo lo stile de Il nome della rosa, ricostruito filologicamente da Alessandro Barbero nell'Atlante della letteratura italiana di Einaudi), fino alla fucilazione degli ultimi Comunardi al muro del cimitero parigino Pere Lachaise. Fanno capolino un cocainomane Freud, «il dottor Froïde» naturalmente detestato dal Simonini e un vitale Dumas al seguito dei garibaldini, che non riesce a intuire nel protagonista la canaglia. Ma proprio dai romanzoni d'appendice di Dumas, l'incolore e crudele Simonini fa scaturire il testo narrativo del falso di tutti i falsi, quei «Protocolli dei Savi di Sion», che benché denunciati come apocrifi, dominano da decenni la propaganda antisemita. Hermann Goedsche, uno degli ispiratori del falso documento, appare ne Il cimitero di Praga, e Simonini potrebbe vantarsi di avere contribuito a forgiare quel testo che, fulcro della propaganda nazista, è stato poi adottato da movimenti islamici e leader arabi in odio a Israele.

Vari recensori, anche autorevoli, hanno espresso il timore che il libro di Eco, con pagine spesso «forti» di linguaggio e tono antisemita quando Simonini e i suoi danno sfogo al livore, possa generare ambiguità, contribuendo all'odio che l'autore vuole contrastare. Un pericolo che, terminata la lettura del romanzo, ci sentiamo di poter fugare: la violenza con cui il razzismo schizza da queste pagine non è endorsement, appoggio. È denuncia, accompagnata dal ricordo delle sofferenze, le umiliazioni e le torture nei ghetti d'Europa.

Altro è il punto cruciale de Il cimitero di Praga. A trent'anni da Il nome della rosa Eco, a lungo collaboratore del «manifesto» con lo pseudonimo «Dedalus», poi battagliero pubblicista su Espresso, Repubblica e la vecchia Alfabeta – fino alle rivista online Golem, fondata con Danco Singer e chi scrive –, sembra deluso davanti alle ideologie spente che dal XIX secolo arrivano al XXI. Lo strapotere del falso germina, è questa la morale del Cimitero, sul disincanto seguito al fallimento delle rivoluzioni, dello scientismo, dell'istruzione, dell'intero impianto teorico illuminista, persuaso che la sola luce delle idee bastasse a scacciare il male e l'ignoranza dal mondo.

Come Littell, come Houellebecq, Simonini prospera nel relativismo contro cui si batte Benedetto XVI, bene e male, vero e falso, sono solo differenti versioni dello stesso testo. La crociata per la forza della verità contro la deriva postmoderna accomuna partner insoliti, dal Papa ai guru informatici, Carr e Lanier. Perché dico «Simonini» e non Eco? Perché, e qui l'ambiguità è fugata, nel corpus dei libri di Eco, anche solo a restare ai romanzi saltando la prosa scientifica sulla semiotica e gli articoli di polemica politica, l'imprinting di tolleranza è radicale. Ma se ne Il nome della rosa il monaco Guglielmo di Baskerville è l'eroe raziocinante nel Medioevo di odio e sangue che così assomigliava all'Italia di trenta anni fa, ne Il cimitero di Praga Simonini è il macabro spettro del nostro presente. Dove l'odio smuove destra e sinistra, in Italia, in Europa e in America, dove ciascuno si trincera con i suoi sodali di idee, disprezzando e insultando chiunque dissenta. E quando troppo potere, politico o di mass media, si concentra in poche mani, la stagione dell'«odi ergo sum» diventa massacro quotidiano. «Occorre un nemico per dare al popolo una speranza... il senso dell'identità si fonda sull'odio... per chi non è identico. Bisogna coltivare l'odio come passione politica... l'odio riscalda il cuore». È l'incubo di un autore formato sui testi cattolici del tomismo razionale, passato per l'entusiasmo critico e illuminista delle avanguardie, e che all'alba del nuovo millennio ci mette in guardia ferito. Sola arma contro odio e intolleranza sarebbero amore e comunità: ma cercarle oggi nella stagione del populismo paranoico sembra sforzo vano. Un fallimento e un deserto dell'anima occidentale perduta, secondo l'autore di un libro disperato, nel «cimitero di Praga». Perché al falso segue sempre una tragedia.

gianni.riotta@ilsole24ore.com
twitter @riotta

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