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Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2010 alle ore 06:41.

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di Fernando Mazzocca
Sembra incredibile che per la reputazione e l'affetto da cui Giuseppe De Nittis venne circondato a Parigi, dove a partire dal 1867 trascorse il resto della sua vita breve ma intensa, si sia sentito solo adesso il bisogno di dedicargli in quella che può considerarsi la sua città d'elezione una mostra all'altezza di questo straordinario pittore della "vita moderna". Bisogna infatti risalire al lontano 1886 quando, a due anni dalla morte, la Galerie Bernheim Jeune gli aveva dedicato una dignitosa retrospettiva. La sua improvvisa scomparsa, dovuta a una congestione celebrale, aveva colpito tutti, soprattutto i tanti amici autorevoli. Se ne fece portavoce un suo grande frequentatore ed estimatore Edmond de Goncourt, ricordando come la «morte di quest'uomo di trentotto anni, di questo ragazzo così gentile, così fine nel colmarvi di gioia e di piacere, di questo pittore così pittore, tranne che per gli invidiosi e i nemici, ha suscitato una simpatia del tutto naturale, ed è commovente e meraviglioso il lusso dei fiori posati nella sua bara». Egli che nel suo diario aveva dichiarato: «Nul Français n'aime la France avec plus de passion haute et désintéressée que moi», era stato almeno allora ampiamente ripagato. Commuove ancora incontrare la sua tomba, una semplice lapide, nel cimitero delle celebrità parigine il Père Lachaise, dove una iscrizione fantastica dettata da un altro grande amico Dumas figlio recita: «Ci gît / Le peintre Joseph De Nittis / Mort à trente-huit ans / En plein jeunesse / En plein amour / En plein gloire / Comme les héros et les demidieux».
Il «giovanotto piccolo, tarchiatello, dalla barbetta e dai capelli neri, vestito elegantemente e ricco di tutta l'espansiva burbanza di un meridionale di vent'anni che non dubita di nulla» – così lo descrive il critico Diego Martelli – diventò a Parigi davvero un semidio, aiutato nella sua carriera e nell'irresistibile ascesa mondana dalla bellissima moglie Léontine, figlia di un grande costumista, che fu anche la sua musa e la sua modella preferita. Fu lei a lasciare nel 1914 a Barletta, la città natale del marito, l'assai cospicuo nucleo di opere conservate nell'atelier di rue de Viète, rendendo possibile la creazione dello straordinario museo che, grazie a una collaborazione da tempo avviata con il Petit Palais, ha reso possibile questa mostra curata da Emanuela Angiulli, Gilles Chazal e Dominique Morel.
Casa De Nittis diventò presto un punto di riferimento e i sabato sera dal pittore trovarono una vasta eco nell'alta società parigina e nella variopinta colonia dei ricchi stranieri. De Goncourt, che ne fu uno dei più assidui e convinti frequentatori, riferiva, non senza malizia, come i più accaniti collezionisti di pittura moderna fossero disposti a sborsare anche cinquantamila franchi per un dipinto dell'artista, non tanto e non solo per il piacere di possederne un'opera, quantro per ottenere il privilegio di partecipare a una di quelle serate. C'erà infatti la possbilità di incontrarvi il meglio dell'arte, della letteratura, del teatro e del mondo della finanza, personaggi come Manet, Degas, Caillebotte, Dumas, Zola, Oscar Wilde, Daudet, la principessa Matilde Buonaparte. Rimane memorabile il ricordo che ce ne ha lasciato sempre Goncourt, grande sostenitore di questo estroso pugliese diventato il protagonista di «una nuova generazione di pittori vincitori di denaro e a cavallo su Parigi e su Londra», ricordando il successo che egli aveva conseguito anche nella capitale inglese dove ebbe nel banchiere Kaye Knowels un mecenate esclusivo.
Tutti venivano colpiti dall'eleganza della palazzina dei De Nittis, con il «domestico in cravatta bianca» e il «comfort inglese in cui l'artista si rivela per alcune giapponeserie di una fantasia e di un colore adorabilmente esotici», in particolare le «foukousas che sono come delle macchie luminosissime e allegre sui muri». «Ci sono tra l'altro – notava sempre de Goncourt – delle gru di una calligrafia un po' barocca, gettate su un fondo rosa ribes che fanno la gioia degli occhi». Raffinato estimatore e collezionista di arte giapponese, De Nitis ne rimase profondamente influenzato e queste suggestioni costituiscono uno dei tratti più originali e innovativi della sua pittura. Soprattutto quando si dedicò, con risultati straordinari che influenzarono anche Degas, al pastello, una tecnica congeniale per eseguire di getto quelle vedute e scene parigine che lo hanno reso inconfondibile. Vi si ritrova, per Goncourt, "l'aria nebbiosa" della città, "il grigio del suo selciato", "il profilo indefinito del passante".
Ma cosa avveniva in quelle serate "davvero incantevoli"? «Quando si entra, si vede nello spiraglio della porta d'ingresso, il padrone di casa che vi dice con uno schiocco di lingua da Pierrot-cuoco in una pantomima e con una mano che non osa darvi: "Sto facendo un piatto!". Lo si ritrova in sala da pranzo, in piedi, che gira la grande piattata di maccheroni o di zuppa di pesce. Ci si mette a tavola ed è, in ciascuno, una verve che deriva dalla simpatia intellettuale e dalla comprensione immediata e reciproca; e subito si fanno amabili follie e stupidaggini e bambinate ed allegrie in adorabile libertà di linguaggio. Poi si passa nello studio e con gli occhi rallegrati dalle giapponeserie sui muri e con la sigaretta in bocca, si sente della bella musica d'artista, qualche sonata di Beethoven, che agita le interiorità immateriali del vostro essere».

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