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Il miglior film della settimana? La favola di Khan, il ragazzo indiano che conquista l'America

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 novembre 2010 alle ore 14:42.

Il futuro comincia Domenica prossima (dal 5 dicembre il nuovo inserto culturale del Sole)

Siamo sinceri, questo venerdì c'è un solo film che vale la pena di vedere. Ed è una pellicola che farà discutere, perché lontana e poco adatta ai gusti occidentali, condizionata com'è dall'estetica del mercato cinematografico più grande del mondo, Bollywood. E allora, prima di presentarvi le uscite di questa settimana, sentiamo di dovervi dare un consiglio, sentito: cercate, scovate, trovate «Io sono con te», di Guido Chiesa.

Un capolavoro di cinema e di umanità che merita una visione attenta e appassionata, meglio se familiare. E che rischia di sparire dalle sale. Imperdibile quest'opera che ci racconta la pedagogia spiegata da Maria di Nazareth. Perché, forse, si è figli di un qualsiasi dio se solo si è abbastanza amati, liberi e curiosi.

E in fondo proprio il migliore film della settimana, «Il mio nome è Khan» di Karan Johar, esprime lo stesso messaggio, umanissimo e profondo. Rizvan Khan, geniale ma (e ci sarebbe da discutere sull'opportunità di introdurre quest'informazione con un'avversativa) affetto da sindrome di Asperger deve i suoi successi alla sensibilità di sua madre. Che si sacrifica per il figlio - persino a scapito del maggiore - per inserirlo in una società che non lo vuole, per insegnargli a seguire le leggi dell'amore e dell'onestà, per infondergli consapevolezza di sé e una dolce tenacia nel perseguire ciò che il cuore gli propone. Lo rende un grande uomo, l'unico handicap che gli lascerà sarà una buffa e ostinata avversione per il colore giallo, in ogni sua tonalità e…forma.

Una bella favola, un ragazzo che lascia la sua India per conquistare l'America: ce la farà e troverà anche un amore meraviglioso, una famiglia. Mandira (la splendida Kajol) lo sposerà, il figlio di lei lo «adotterà» come padre. Un melodramma persino troppo stucchevole. Ci pensa l'11 settembre a far virare tutto in un'assurda, crudele tragedia. Nel portare la colpa sulle spalle di innocenti che pagano la loro religione, anche se vissuta con rispetto e solidale integrazione.

Rizvan (un ottimo Shahrukh Khan) reagisce con la stessa caparbia dolcezza con cui ha trovato la felicità e obbedisce a una pazza promessa fatta per amore: dire al presidente degli Stati Uniti «Mi chiamo Khan e non sono un terrorista». Un'equivalenza che invece nell'America di oggi è tragicamente invalsa. Lo farà col coraggio di un Forrest Gump musulmano, denuncerà un correligionario che fomenta la violenza, farà da volontario nei soccorsi per un'alluvione e, nonostante questo, sarà vittima di un errore giudiziario, della democrazia violata da Guantanamo e dal razzismo di stato. Eppure l'amore, in un finale rutilante, eccessivo ed obamiano, trionferà. Guardate questo film privi di pregiudizi: estetici ed etici. Qui non abbiamo il furbissimo Danny Boyle che cerca di ingannarci con «The millionaire», un'India occidentalizzata e normalizzata, abbiamo piuttosto una cultura che tenta di sposarne un'altra. Rubando dal «Forrest Gump» di Zemeckis così come dal «Rain Man» di Barry Levinson.

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Nella foto Alberto Arbasino (Olycom)

Da Domenica 5 dicembre comincia il futuro. In edicola il nuovo inserto culturale del Sole

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Tags Correlati: Alessandro Gassman | Boldi | Cinema | Danny Boyle | Disney-Pixar Films | Fandango | Grimm | India | Lee Daniels | Lenny Kravitz | Luca Argentero | Luca Lucini | Mandira | Mannino-Canalis | Stefania Sandrelli | Walt Disney

 

Di impostazione totalmente diversa, ma a suo modo comunque film interessante e coraggioso, è un altro titolo da consigliare, seppur con qualche riserva: The killer inside me. Storia di un uomo d'ordine che cela dietro la divisa abitudini sessuali estreme, ambiguità e la fredda determinazione di un serial killer. Casey Affleck, che ben personifica un angelico disagiato, ha una fidanzata (Kate Hudson) e un'amante (Jessica Alba). Ama sculacciarle, così come faceva con la madre. Per espressa richiesta di quest'ultima. Sul filo di una normalità solo apparente, di un'America profonda disegnata dall'eclettico Micheal Winterbottom - che ama giocare spesso sul filo di sentimenti border line - e così si sprigiona un noir di forte impatto. Che spesso deraglia, ma sempre ritorna sulla strada maestra, che piace e convince, nonostante alcune sciatterie - il regista è molto prolifico e forse per questo a volte distratto - e momenti di sceneggiatura imperfetti.

Sopravvalutato, invece, «Precious». Questo film indipendente che in più di un anno ha conquistato due Oscar (per Mo'nique, migliore attrice non protagonista, per la sceneggiatura non originale di Geoffrey Fletcher), il Sundance e persino Cannes, ha conquistato tutti, a dirla tutta. Soprattutto per la grande attrice, in tutti i sensi, Gabourney Sibide, che interpreta Precious, adolescente obesa, analfabeta, abusata in famiglia (picchiata dalla madre, violentata dal padre), i cinta di suo padre e malata di HIV.

Un concentrato di atrocità da sobborgo americano - e non solo, come ci insegna la Giornata mondiale della donna, celebrata il 25 novembre) - che qui trovano un film strappacuore, che cerca più il ricatto morale che il riscatto. Efficace per sconvolgere emotivamente - anche se la sfortuna parossistica della protagonista spesso allontana dai suoi drammi -, non si fa apprezzare come prodotto artistico, troppo gretto e grezzo e sempre alla ricerca della scorciatoia per colpire lo spettatore. Da segnalare i cammei di Lenny Kravitz e Mariah Carey (quasi irriconoscibile), una colonna sonora di grande livello e qualche guizzo, comunque, del regista Lee Daniels, che rimane un elemento di spicco del cinema indipendente (afro)americano. Distribuito dalla Fandango, che con il suo comparto libri riporta sugli scaffali delle librerie anche il volume da cui è tratto il film: «Precious» di Sapphire Push.

Torna la Disney per i più piccini: supervisionata dal genio Pixar, John Lasseter, mostra i soliti schemi della casa del mitico Topolino, ma con la modernità degli ultimi 20 anni di produzione e qualcosa, anche, del nuovo alleato. Parliamo di Rapunzel - l'intreccio della torre, che altri non è che la Raperonzolo dei fratelli Grimm. Con tutto il corredo del caso: dai lunghissimi capelli biondi all'avventurosa evasione dalla sua torre. Un film che divertirà pur non essendo un capolavoro. Rapunzel (doppiata da una volenterosa e brava Laura Chiatti) è più una giovane Winx che un'eroina da fiaba, i Grimm in questo adattamento diretto dalla copia Greno-Howard, c'entrano davvero poco. Si canta, come Disney comanda, e ci si innamora, si vivono avventure rocambolesche e poi, ovviamente, si vive felici e contenti. Nulla di trascendentale, ma basta a far sorridere i piccini e a intrattenere i genitori.

Nota dolente, purtroppo, il cinema italiano. Boldi torna sulla neve dopo sette anni (erano i tempi di «Christmas in Love», ancora in coppia con De Sica), tenta la sfida di riportare il Natale nel titolo e fa il più classico dei cinepanettoni. «A Natale mi sposo» sconta una comicità vecchia e stantìa - come quella, d'altronde, dei rivali, De Sica e compagni - con pochi guizzi e picchi di vero divertimento che si contano sulle dita di una mano. Un peccato, perché i talenti ci sono: oltre a un Boldi a dir la verità un po' compassato, brillano Salemme e un Salvi che pur costretto a produrre peti e a qualche volgarità di troppo, fa valere il suo istinto comico con la consueta e irruente efficacia. Buona la coppia Mannino-Canalis e ottima Nancy Brilli. Ma la squadra, piena di talenti, non ha gli schemi giusti per vincere, non riesce a dar spettacolo, tra matrimoni organizzati, saltati e finalmente riusciti, ci si perde troppo spesso in una poco aurea mediocrità.

Ancora meno efficace, purtroppo, è «La donna della mia vita». Qui la scarsa vena di Luca Lucini - che peccato, si stava dimostrando un regista commerciale di grande talento ed efficacia - si riversa su due interpreti di solito infallibili come Alessandro Gassman e Luca Argentero, che sembrano sentir «scomoda»a parte. Eccessiva e leziosa Stefania Sandrelli, dea ex machina della storia, piacciono di più Lodovini e Colangeli. Una malin-commedia sentimentale che vive di intrecci continui, su cui si avvita con poco costrutto, per portarsi stancamente alla fine del film annoiando e non carburando mai.

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