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Cultura-Domenica Teatro e danza

Massimo Ranieri riporta il teatro di Eduardo in tv. Inizia oggi con Filumena Marturano

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Questo articolo è stato pubblicato il 30 novembre 2010 alle ore 18:06.

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Una grande attesa attorno ad un evento: il ritorno, in prima serata, del teatro in televisione. Massimo Ranieri (dal 30 novembre su Raiuno) riporta Eduardo De Filippo sul piccolo schermo, con quattro famosissime opere, in un incontro tra teatro, cinema e tv.

La prima, «Filumena Marturano», lo vedrà accanto a Mariangela Melato. Seguiranno, nei prossimi mesi, «Questi fantasmi», con Barbara de Rossi, «Napoli Milionaria», con Bianca Guaccero, «Sabato, domenica e lunedì», con Elena Sofia Ricci. Ed è subito evento, dunque. Per qualcosa di cui si sente la necessità. Ovvero, apprezzare anche in televisione un'opera teatrale. Come si faceva una volta, si sente spesso dire.

Perchè è così: la tv è nata con il teatro (il primo programma fu proprio un'opera teatrale, «L'Osteria della Posta», di Carlo Goldoni), ne ha tratto linfa, attraverso i suoi testi, le sue trasposizioni. Attraverso i suoi attori, che sono stati i costruttori della televisione, non solo con la prosa, ma divenendo assi portanti di tutta la produzione, varietà compreso.

La tv si cibava del teatro, come nuovo mezzo di racconto. La tv come racconto. Qualcosa che si era compreso, agli albori del nuovo medium. Ma che via via si è perso. Forse perché è venuta meno la funzione pedagogica che il mezzo aveva un tempo (e questo assunto scatena dibattiti tra chi lo ritiene un difetto e chi pensa che questo ruolo sia definitivamente tramontato).

In realtà, lo spettatore, negli ultimi tempi, sta sempre più dimostrando attenzione nei confronti del racconto. Probabilmente non l'ha mai persa, spostandola magari verso altre forme che venivano proposte, ovvero tv movie, fiction. Ma soprattutto sta nuovamente mostrando attenzione, oltre che per il teatro vero e proprio, quello apprezzato dal vivo, per quelle forme che sempre più si avvicinano al racconto teatrale (ultima in ordine di tempo quella di «Vieni via con me»).

Dunque, la questione principale è quella del linguaggio. Del modo in cui si trasferisce il teatro in tv. Una questione annosa, che fin dall'inizio delle trasmissioni televisive animò il dibattito tra gli intellettuali del tempo. Teleteatro, teleromanzo, sceneggiato, allestimenti in studio, riprese dell'opera in teatro: vari termini, vari tipologie si alternarono sul piccolo schermo. Privilegiando, per lo più, la ricerca di un linguaggio nuovo, che non si limitasse alla asettica ripresa dello spettacolo in palcoscenico, ma che unisse il nuovo strumento alle caratteristiche proprie di un testo scritto per il teatro. La tv divenne, dunque, sperimentazione di linguaggio.

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Nella foto Alberto Arbasino (Olycom)

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Tags Correlati: Anton Giulio Majano | Arlecchino | Bianca Guaccero | Carlo Goldoni | Carmelo Bene | Dario Fo | Giorgio Strehler | Massimo Ranieri | Rai Uno | Teatro

 

Dal primo regista che si cimentò nel teatro in tv, Franco Enriquez, passando per Anton Giulio Majano e Sandro Bolchi, maestri dei teleromanzi e degli sceneggiati. Fino agli stessi autori e registi teatrali che affrontarono la sfida di portare la loro arte in tv o di usare questo mezzo per creare qualcosa di nuovo. Lo stesso Eduardo capì la specificità dello strumento televisivo: la telecamera portava il telespettatore dentro il suo teatro, rendendolo ancora più vicino, se possibile, a quanto raccontato. Ma quasi senza che il pubblico se ne accorgesse: ovvero, la sintesi perfetta dei due mezzi. Che ha innovato e ha consentito di conservare memoria del teatro.

Da Eduardo ad altri grandi artisti:Dario Fo, Carmelo Bene. E Giorgio Strehler, che con la sua prima opera portata in tv, l'Arlecchino, faceva cadere anche una sorta di quinta parete, quella del teleschermo, con parti di backstage o mezzi tecnici che diventavano tutt'uno con la rappresentazione.

Negli ultimi decenni, però, quell'appuntamento imprescindibile con il teatro in tv, quei palcoscenici che ogni settimana si animavano sul piccolo schermo sono diventati sempre meno. In una evoluzione del linguaggio televisivo che è sembrata distante da quella teatrale. Non sappiamo quanto lo fosse realmente per lo spettatore. Magari disabituato al teatro, ed al quale forse era necessario pensare nuovamente in termini di tv pedagogica.

In questo periodo - nella televisione in generale - tentativi sporadici di teatro in tv, e in orari impossibili. E quasi assenza di programmi sul teatro, informativi e formativi. Ma anche piccoli sprazzi di autentici boom: dal teatro comico a quello di narrazione (come nel caso dell'ascolto record di «Vajont», di Marco Paolini), che oggi sa conquistare anche il grande pubblico. Con il personaggio, ma anche con regie che uniscono il racconto visivo a quello testuale.

Partire dall'attenzione che esiste, dunque, per riprendere un cammino che ha caratterizzato la tv. Un legame stretto tra arti e mezzi espressivi, nato insieme al piccolo schermo, quel 3 gennaio del 1954.

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