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Cultura-Domenica Teatro e danza

Thielemann, Meta, Muti e Barenboim, ecco il catalogo dei direttori più o meno wagneriani

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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2010 alle ore 18:04.

Quando si parla di "Ring", i quattro titoli che compongono l'"Anello" wagneriano, il nome che viene subito citato accanto al titolo è quello del direttore: il "Ring" di Furtwängler, quello di Karajan, quello di Boulez. Sono loro i tre domatori per eccellenza della Tetralogia, consegnati alla storia. Diversissimi, nell'approccio e nei risultati: Furtwängler passionale, Karajan classico, Boulez matematico. Radicali, agli antipodi. Ma anche esaustivi, tanto da far pensare che l'"Anello" fosse finito con loro, non avendo più spazi d'azione. Loro i giganti, senza eredi.

Invece la storia ha trovato altre strade: gli ultimi vent'anni hanno consegnato una nuova generazione di direttori wagneriani, che proprio con i quattro titoli del "Ring" (il Prologo dell'"Oro del Reno" e le tre giornate di "Walkiria", "Sigfrido" e "Crepuscolo degli Dei") hanno dimostrato quanto l'"Anello" possa ampliarsi.

La bacchetta più eclatante per dire il nuovo corso del "Ring" è stata quella di Christian Thielemann: biondo, berlinese puro, cinquant'anni, ha tenuto le redini della Tetralogia a Bayreuth nell'ultimo decennio. Quest'estate la sua "Walkiria" suonava ancora più dilatata, estenuata, quasi decadente. Eppure così carica dei significati simbolici legati alla tecnica del Leitmotiv: ogni tema era per Thielemann un mondo a sé. Individuato con un nitore degno erede della chiarezza di Karajan. Ma anche nutrito dei ripiegamenti introspettivi di Furtwängler. Thielemann che attualmente dirige i Filarmonici di Monaco, è in predicato per il posto di direttore principale dei Berliner Philharmoniker. Ma gli nuoce una certa aura di vecchia Germania, che alcuni sentono in odore di nazismo. Alla Scala ha diretto molti anni fa, in concerto. Mai un'opera.

Il direttore attuale dei Berliner, Simon Rattle, ha appena chiuso un "Ring", eseguito tra Berlino, Saliburgo e Aix-en-Provence: non straordinario, perché timoroso della grandiosità. Rattle ha cercato un Wagner anticato, di dimensioni modeste, contenuto entro margini di non trasgressione, effusione, passione. Non funziona.

Su tutt'altro piano si colloca il "Ring" di Daniel Barenboim. Anche per lui a Bayreuth, ma vent'anni prima di Thielemann (1988-1992). È un Wagner molto diverso rispetto a quello che abbiamo ora sentito in Scala, sia nella produzione del "Tristano", sia in questa recente prova generale della "Walkiria" inaugurale della stagione, sabato scorso, dedicata ai giovani. Oggi Barenboim scompone, più che amalgamare, la tavolozza wagneriana. Ne sceglie i colori, li separa, li scolpisce nella rispettiva qualità materica. Allora il procedere era sul filo dell'impasto sinfonico. Oggi va sull'effetto emotivo dei singoli componenti.

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Tags Correlati: Berliner Philharmoniker | Bob Carsen | Christian Thielemann | Daniel Barenboim | Germania | Italia | Jeffrey Tate | Musica | Prologo | Riccardo Muti | Simon Rattle |

 

L'ultima Tetralogia alla Scala porta la firma di Riccardo Muti. La "Walkiria" fu anche allora scelta per inaugurare la stagione, e si era al 7 dicembre 1994, sedici anni fa. Era il primo titolo dell'"Anello" per Muti e non venne poi più ripreso in altre stagioni. Fu un Wagner lirico, cantabile, disteso, di trasparenze più che di affondi: più pastello che olio. Esaltava la tavolozza tipica dell'Orchestra scaligera, disteso su tempi scorrevoli. La scena della "Cavalcata delle Walkirie", in apertura del terzo atto, disegnata sullo sfondo di un campo di grano e papaveri, a tutta scena, restituiva in perfetto specchio timbro e atmosfera.

Gli altri due "Ring" completi in Italia si devono al Maggio fiorentino e alla Fenice di Venezia: Zubin Mehta contro Jeffrey Tate. Passionalità, con qualche semplificazione, contro essenzialità, con qualche freddezza. Sono state due edizioni importanti dell'opera wagneriana (entrambe si sono guadagnate un Premio Abbiati, della critica italiana) caratterizzate da un perfetto rispecchiarsi in due autorevoli produzioni registiche: a Firenze i furiosi dissacratori della Fura dels Baus, grandi nell'impiego della tecnologia, a Venezia il più grande narratore della scena di oggi, Bob Carsen. Due edizioni, comunque, di "opera totale": da vedere e sentire. Come Wagner voleva.

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