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Questo articolo è stato pubblicato il 22 gennaio 2011 alle ore 12:48.

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A vent'anni dal debutto di "Palermo, Palermo", Pina Bausch è un monolite radioattivo che continua ad emettere onde. Nella foto un momento dello spettacolo Vollmond, in prima nazionale al Piccolo di MilanoA vent'anni dal debutto di "Palermo, Palermo", Pina Bausch è un monolite radioattivo che continua ad emettere onde. Nella foto un momento dello spettacolo Vollmond, in prima nazionale al Piccolo di Milano

Fra canti e stornelli popolari, tammuriate e percussioni africane, rintocchi continui di campane fanno da sottofondo al grande affresco che riassume guai, peccati, dolori del mondo. "Palermo, Palermo" procede per immagini. Sono materiali sparsi che si rapprendono. Una sottile terra rossa che piove impolverando ogni cosa; buste di carne cruda rubata che esce dalle tasche; dell'altra, insieme a delle uova, cucinata sopra un ferro da stiro da un travestito che abita un angolo della scena apparendo e scomparendo da un armadietto. L'improvviso irrompere di sei pianoforti semidistrutti, sembrano le bare una veglia funebre con la vedova seduta che beve birra da sotto il velo, e sei pianisti che suonano con foga Ciaikovsij davanti all'enorme schermo di un cielo nuvoloso. Ci sono donne bersagliate di pomodori, che si cospargono le labbra di zucchero e implorano "Kiss me!", che seducono, che puliscono per terra coi capelli.

C'è l'acqua, che manca sempre, costringendo la gente a lavarsi in un secchio, a sgrassare i capelli col limone, a nuotare nel contenuto di un bicchiere. Sono tutte visioni, scansioni simboliche. E ci sono grandi scene madri. Dove tutti, in tre file frontali, scavalcando macerie, solennemente avanzano in una sorta di processione buttando rifiuti per terra come l'epidemia di un asfalto malato. O, verso la fine dello spettacolo, in duplice fila, prima la catena degli uomini, dietro quella delle donne, avanzano tenendosi sottobraccio ciascuno con una mela sulla testa. Simbolo, forse, della liberazione dalla tirannia e dalla ferocia?

Nel realismo spietato della Bausch nulla è casuale, tutto è tecnicamente perfetto. C'è in lei un autentica partecipazione al dolore, al segno negativo dei rapporti umani, che ne faceva una Cassandra del nostro tempo, capace di raccontare le nostre brutture e le nostre deformazioni, in un mondo sovente ignobile dove tutto è in vendita, carne e spirito. Il finale è pieno di poesia in quel piovere sulle rovine alberi di mandorli in fiore, mentre un uomo racconta la favola delle oche che prima di essere mangiate dal volpone chiedono di rivolgere al cielo un ultima preghiera. E sono ancora tutte lì che pregano.

Si potrebbe obiettare che nello spettacolo la danza è poca. Essa è nel vortice delle braccia e nella perfetta sincronia dei passi semplici di gruppo, e degli assoli pungenti. Ma se la danza è tensione, qui le tensioni non si contano tanto sono le estrinsecazioni di impulsi interni e del corpo per i quali gli interpreti della Bausch sono sempre impareggiabili. E lei è ancora lì, una sorta di monolite radioattivo che continua ad emettere onde e ad influenzare ancora tutto il teatro-danza.

Atteso al Piccolo di Milano dal 10 al 13 febbraio, unica tappa italiana di quest'anno, il Tanztheater Wuppertal porta in prima nazionale "Vollmond".

"Palermo Palermo", regia e coreografia Pina Bausch, scene Peter Pabst, costumi Marion Cito, musiche Matthias Burket. Tanztheater Wuppertal.


All'Opernhaus di Wuppertal.
www.pina-bausch.de
www.piccoloteatro.org

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