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Questo articolo è stato pubblicato il 06 febbraio 2011 alle ore 08:22.

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C'è ancora qualcuno che se la sente di far passare impunemente lo stereotipo di Darwin come padre del cosiddetto "darwinismo sociale", cioè come il modello del peggiore egoismo e di ogni sopraffazione nel nome della legge del più forte o della sopravvivenza del più adatto?
Purtroppo ancora oggi si sentono dire cose di questo genere, anche da autorevoli moralisti e da persone di cultura. Per rendersene immuni bisognerà armarsi di qualche buona lettura, al limite anche didascalica. Encomiabile è la sintesi proposta da Eugenio Lecaldano nella sua Prima lezione di filosofia morale (Laterza). Da cui si evince che stiamo assistendo, grazie agli studi più recenti nel campo dell'etologia e delle neuroscienze, con autori come Frans de Waal e Antonio Damasio, a una vera e propria rinascita del darwinismo morale. E che questa non ha assolutamente nulla a che fare con l'egoismo, ma con il suo esatto contrario, cioè con una forma naturale di altruismo, di empatia e di reciprocità che sta alla base del nostro stesso successo in quanto specie e che non è affatto estranea al comportamento e agli istinti di altri animali.

Per ironia della sorte, ci dice, in una sintesi ancora più estrema, una tavola di L'evoluzione a fumetti (Cortina), Darwin seguiva le orme – oltre che di David Hume, il più darwiniano tra i predarwinaini, che pure mostrò quanto la morale e le virtù avessero il loro fondamento nei sentimenti e nelle passioni più che nell'intelletto e nella ragione – nientemeno che del padre dell'economia politica moderna, Adam Smith, l'autore della Ricchezza delle nazioni. Cioè della fonte principale dell'egoismo e del darwinismo sociale!, diranno i più pigri e disinformati tra i nostri lettori. Dice bene invece l'Adam Smith di questo intelligente fumetto: «Forse gli economisti non mi hanno letto abbastanza attentamente». Smith era innanzitutto un filosofo morale. Il suo primo libro importante, la Teoria dei sentimenti morali, fu pubblicata nel 1759, esattamente un secolo prima dell'Origine delle specie, «ma ha percorso molto del pensiero evoluzionista più recente nella sua concezione dell'uomo come guidato da istinti etici».

Richard Dawkins, nel suo ennesimo, splendido libro per spiegare Perché Darwin aveva ragione (così recita il sottotitolo di Il più grande spettacolo della terra, Mondadori) avrebbe ben potuto aggiungere un capitolo sul suo «naturalismo morale». Peraltro è sempre L'evoluzione a fumetti a chiarire assai bene che l'altruismo degli organismi è perfettamente compatibile con i «geni egoisti» di Dawkins. Questi, aspirando a produrre quante più copie possibile di se stessi, a volte possono raggiungere questo obiettivo facendo cose che vanno a beneficio di altri organismi, diversi da quello in cui albergano.

Ma in che cosa consiste l'altruismo? Darwin in L'origine dell'uomo delinea una genealogia della morale che ha al centro la nozione humeana di «simpatia» definita una «importantissima emozione». All'Espressione delle emozioni e alla loro sostanziale continuità nell'uomo e negli animali, quale prova decisiva della verità dell'evoluzione, del resto ha dedicato un altro splendido libro. «Quale che sia la complessità dell'origine di questo sentimento – si legge nell'Origine dell'uomo –, esso è di grande importanza per tutti gli animali che si aiutano e si difendono reciprocamente; e quindi si deve essere accresciuto tramite la selezione naturale: le comunità con un maggiore numero di individui capaci di provare simpatia debbono aver goduto di una maggior prosperità e allevato una prole più numerosa». Anche le nozioni di approvazione e di biasimo trovano così una spiegazione. «Gli istinti sociali indubbiamente acquisiti dall'uomo come dagli animali inferiori in vista del bene della comunità, gli avranno ispirato il desiderio di aiutare i suoi simili e qualche sentimento di simpatia, e lo avranno costretto a tener conto dell'approvazione e della disapprovazione dei suoi simili».

Come scrive Alessandra Attanasio in Darwinismo morale. Da Darwin alle neuroscienze (Utet), un libro che prende le mosse dai lavori del premio Nobel Gerard Edelman sui correlati neuronali della coscienza, «gli studi odierni sui fondamenti psicologici dei giudizi morali e sulla cognizione sociale non conscia, implicita, tacita, non deliberata costituiscono il futuro della linea di darwinismo morale». Questa si delinea nell'innatismo del «modello sociale intuizionista» teorizzato da Jonathan Haidt, i cui dati sperimentali mostrano che il giudizio morale è guidato da «intuizioni automatiche», e che il ragionamento morale arriva soltanto dopo, e serve a giustificare quelle stesse intuizioni morali. La linea della spiegazione «sentimentalistica» della morale e delle virtù parte dunque da Hume e Smith, è rielaborata da Darwin ed è ripresa dai neuroscienziati di oggi. Attanasio insiste anche sui neuroni specchio di Giacomo Rizzolatti, che si attivano osservando alcuni comportamenti significativi compiuti dagli altri, e che sono soprannominati «neuroni dell'empatia». Ma guardate cosa scriveva Adam Smith al l'inizio della Teoria dei sentimenti morali: «Per quanto egoista si possa ritenere l'uomo, sono chiaramente presenti nella sua natura alcuni principi che lo rendono partecipe delle fortune altrui, e che rendono per lui necessaria l'altrui felicità, nonostante da essa egli non ottenga altro che il piacere di contemplarla». Ancora una volta, altro che «darwinismo sociale» o egoismo economico!

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