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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2011 alle ore 12:21.

Il correttore che non è automaticoIl correttore che non è automatico

Ostuni mette l'accento su uno degli aspetti più delicati del lavoro, che spesso è stato il nodo del contendere nelle polemiche che tornano nel piccolo mondo letterario. L'editor (qui nella doppia accezione di colui che lavora sui testi, ma anche di colui che decide se pubblicarli) ha un'influenza diretta, e spesso molto più forte di quanto non si pensi, sulla forma e lo stile della narrativa corrente.

Da un lato ci sono infatti ottimi professionisti esterni in grado di garantire che il livello del testo sia ben oltre gli standard di pubblicazione. E molti autori affermati, sono in grado di "imporre" alla casa editrice i loro editor di riferimento, scavalcando o, per usare un eufemismo, "lavorando in accordo" con gli editor interni. Tra i tanti professionisti che si possono citare Laura Lepri (nostra collaboratrice, succeduta, tra l'altro, a Peppo Pontiggia nella sua scuola di scrittura), che all'epoca seguì la Tamaro, o Sergio Claudio Perroni, traduttore e anche agente che, in veste di romanziere ha voluto che nella bandella di presentazione dell'autore vi fosse scritto che era stato editor di alcuni dei maggiori successi letterari italiani (Veronesi, per esempio). E c'è spazio anche per casi come quello di Raffaella Lops, un passato di libraia, che si imbatte nel manoscritto della Solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, aiuta l'autore nell'editing e poi riesce a convincere Mondadori, scoprendo così uno dei più vividi talenti letterari e uno dei maggiori bestseller degli ultimi anni. Operazione che oggi tenta di ripetere con Donatella Di Pietrantonio, uscita con Elliott, e forse candidata allo Strega.

Ma pur essendoci spazio per i consulenti esterni è all'interno delle case editrici che sta crescendo una nuova nidiata di editor (intesi sia come "correttori" e "manipolatori" dei testi, sia come cacciatori di libri e autori) che sta mettendo la firma sulla narrativa italiana e straniera di questi anni.

Una mappa che non può che essere incompleta. Eppure, detto di Ostuni, non si può tacere, né non vedere, il lavoro fatto in minimumfax da Nicola Lagioia («il miglior editing possibile penso che sia un'esercizio di maieutica. L'editor non deve pensare di essere il co-autore di alcunché, e il suo compito è quello di fare rilievi, muovere obiezioni, discorrere del libro con l'autore lasciando sempre a quest'ultimo l'ultima parola) e Christian Raimo. Michele Rossi in Rizzoli è quello che ha fiutato le potenzialità di Silvia Avallone, una scrittrice come Chiara Valerio sta ora cercando voci nuove per nottetempo. Ci sono i casi già molto noti di Stile Libero Einaudi, di Fazi, e nomi come Paola Gallo, Ena Marchi e Mattia Carratello (ora passato alla musica, però) che hanno inciso sui titoli che abbiamo letto e apprezzato in questi anni.

Giuseppe Strazzeri, passato da Mondadori a Longanesi a ridare vigore al catalogo e a indirizzarlo verso nuove frontiere, o giovani con le antenne dritte come Elisabetta Migliavada che sta riportando Garzanti ai fasti di un tempo (e ha scovato la Sanchez oggi prima nelle classifiche). Mario Desiati, instancabile frugatore di testi disturbanti in Fandango. Gabriele Dadati che con Laurana e i consigli di Giulio Mozzi, forse il più serio consulente editoriale che ci sia in giro in Italia, sta provando a lanciare una nuova piccola realtà. Davide Musso di Terre di Mezzo che ha scovato qualche autrice poi finita in sigle più blasonate, Giulio Milani di Transeuropa, scopritore di Fabio Genovesi e di Andrea Tarabbia, Francesco Colombo di Baldini Castoldi Dalai, senza dimenticare, per una volta, il ruolo delle riviste che ci sono e sono fucina di talenti. Svolgono un ruolo di "editor impersonale", o meglio incarnato nei loro direttori e redattori: e pensiamo a «Nuovi Argomenti» o alla recentissima «Piscine» appena uscita, condotta da Cristiano De Majo e Francesco Pacifico.

Fuori classifica restano cacciatori di talenti come lo fu Elvira Sellerio, capace di indovinare Gesualdo Bufalino a partire da delle didascalie su un album di foto o accettare la scommessa di Andrea Camilleri mandandolo per il mondo senza lo straccio di un glossario, come volle invece Livio Garzanti.

Infine: se è vero che l'editing è un lavoro sempre più complesso e raffinato, se è vero che gli autori sono sempre più bravi, anche quelli scarsi, nel l'arte dello storytelling, e che gli editori ormai cercano disperatamente bestseller e qualità, va riconosciuto che gli errori, gli strafalcioni e le valutazioni sbagliate sono sempre dietro l'angolo. Giusto per chiudere con un esempio celebre (non Vittorini-Lampedusa; e aveva ragione Vittorini...) e recentissimo. Freedom di Jonathan Franzen, l'ultimo titolo del più famoso autore americano di questi anni, è uscito in Inghilterra, non più di qualche mese fa, zeppo di errori marchiani. La versione stampata non aveva recepito l'ultimo passaggio di editing. Una sublime nemesi, dopotutto, per uno il cui libro più famoso si intitola Le correzioni.

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