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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2011 alle ore 08:22.

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E tuttavia un paio di considerazioni finali sono d'obbligo. La prima è che davanti all'abilità tecnica di un altro artista, il poeta in cui l'amore per la parola sia superiore alla vanità – e questo succede sempre fra i grandi – l'invidia lascia il posto all'ammirazione. In questo senso si spiega il legame che, come un filo d'oro, ha tenuto insieme un certo numero di talenti della seconda metà del Ventesimo secolo. Una specie di squadra ideale di cui hanno fatto parte i premi Nobel Czeslaw Milosz e Joseph Brodsky, Seamus Heaney e Derek Walcott e Wislawa Szymborska; e, insieme a loro, artisti degni del massimo riconoscimento, come il citato Zagajewski e l'australiano Les Murray. Gente che tra di loro si conosce o che si conosceva; che non ha dato luogo né a una scuola né a un movimento vero e proprio; e in molti casi non ha o non aveva in comune una lingua ma solo il grande circuito americano e internazionale dove decennio dopo decennio si è sfidata in un perpetuo e leale certamen poetico.
E poiché della pur misteriosa chimica che decide la scelta dei candidati da premiare qualcosa si sa; e, cioè, che chi ha già vinto ha voce in capitolo, possiamo dire che una personalità trascinante come quella di Brodsky, ha fatto sì che il Nobel sia stato assegnato negli ultimi anni a un certo numero di poeti. Uomini e donne che volano in alto perché – come lui stesso diceva – vestono la divisa dell'aviazione e non quella della fanteria, che appartiene ai prosatori. Uomini e donne di cui si parla poco sui giornali poiché quello che scrivono sono ricognizioni nei cieli della conoscenza. Non semplici informazioni.
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