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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2011 alle ore 08:21.

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Secondo la nota definizione di Italo Calvino, un classico è un libro che non si finisce mai di leggere. Un diverso e ben più rumoroso indicatore del valore di un autore è tuttavia la capacita di continuare a far danni e creare scompiglio anche molto tempo dopo la propria morte. Era ciò che augurava per sé il marchese De Sade, e il cantore di "ragazzi criminali" Jean Genet, e perfino un apostolo dell'assenza come Carmelo Bene per il quale lo scompiglio iniziò a ceneri calde, avendo come primo oggetto del contendere addirittura l'urna funeraria (tumularla a Otranto o a Vitigliano?), in una lite tra ex consorti che avrebbe molto divertito lo stesso Carmelo Bene. Ma la palma europea, forse mondiale, di scandalo a ciclo continuo – in vitam, post mortem e chissà per quanto ancora – appartiene a Louis-Ferdinand Céline.
Di recente è bastato che il distillato della sua memoria cadesse tra gli ingranaggi del ministero della Cultura francese per scatenare un disarticolato e imbarazzatissimo balletto tra burocrati (un passo avanti e due indietro sulle le note della celebre petite musique) che pareva, se mai fosse immaginabile, la versione inamidata di Casse-pipe.
Accade che il prossimo 1° luglio saranno cinquant'anni dalla morte di Céline. Il ministro della Cultura francese Frédéric Mitterrand (forte anche degli ineffabili sillogismi di Sarkozy: «Non tutti quelli che leggono Céline sono antisemiti, così come non tutti quelli che leggono Proust sono omosessuali») decide allora di inserire Céline nel volume degli Archivi Nazionali che ogni anno raccoglie gli anniversari da onorare per i mesi successivi. Insorge l'Associazione dei «Figli degli ebrei deportati di Francia» per voce di Serge Klarsfeld. Risultato: il volume va al macero e sarà ristampato senza Céline. Klarsfeld dichiara: «Mi congratulo con Mitterrand per avere avuto il coraggio di prendere le distanze da chi, nel suo ministero, aveva inserito Céline nel volume delle celebrazioni».
Il problema è che Mitterrand sapeva benissimo della scelta, avendo firmato lui stesso la prefazione del volume. Ed è proprio in questo spazio cavo – nelle sottili ipocrisie necessarie perfino a chi giustamente combatte o ha combattuto i veri e propri disastri della specie cui Céline sciaguratamente si accodò con i farneticanti libelli antisemiti –, è anche in microfratture come questa che, nonostante tutto, sembra possa tornare a dibattersi l'incredibile prosa del Voyage e di Morte a credito. L'uomo in quanto tale è destinato al tradimento – ecco la diagnosi del dottor Destouches – a causa della lotta per la sopravvivenza iniziata nelle caverne, continuata nelle trincee, sopravvissuta e ben mimetizzata negli spazi domestici e nei luoghi di lavoro. Il tutto secondo uno schema quasi etologico che ci condanna senza appello come figli di Dio e rischia invece di comprenderci nella nostra miseranda condizione di creature gettate sulla terra.
Sono di conseguenza cinquant'anni che ci si domanda come «lo scrittore del secolo scorso» (guerra, colonialismo, catena di montaggio, momentaneo protagonismo ed effettiva miseria delle masse... il Novecento è tutto tra le pagine dei suoi romanzi) possa essere anche l'autore di Bagatelle per un massacro, di cui tra l'altro in Italia circola una versione semiclandestina e follemente interpolata da ignoti redattori, visto che le invettive di Céline si estendono a John e Jacqueline Kennedy, non ancora personaggi pubblici quando le Bagatelle uscirono.
Sulla consunstanzialità dei due Céline si sono battute le piste più diverse. Da quella frivola e sentimentale (nel '34 Céline si sarebbe recato negli Stati Uniti alla ricerca dell'amata Elizabeth Craig, trovandola sposata con un ebreo) a quella letteraria e forse anche più frivola (la pessima accoglienza di Morte a credito, a opera di critici "naturalmente" facenti parte delle lobby ebraiche).
È forse più vicino alla realtà chi lo descrive come: «Un precipitato di contraddizioni che non si sciolgono in alcun solvente letterario», vale a dire Elio Nasuelli nella postfazione al prezioso Lettere a Marie Canavaggia, recentemente uscito per le edizioni Archinto. Si tratta del carteggio tra Céline e una delle pochissime persone di cui lo scrittore si sia fidato per tutta la vita. Marie Canavaggia, appunto, sua segretaria dai tempi di Morte a credito. Le lettere datano dall'aprile del '36 al settembre del '60, ma coprono soprattutto il periodo dell'esilio danese, quando, fuggiti a piedi attraverso l'Europa in fiamme dopo la fine della guerra, Céline, sua moglie Lucette e il celebre gatto Bébert («è passato tra più granate lui di quante ce ne vogliano per fare un maresciallo di Francia», scrive Céline in una delle lettere) si rifugiano a Copenhagen dove vivono clandestinamente, in condizioni di isolamento e di miseria quasi assolute.
Dalle lettere emerge quanto la Canavaggia sia preziosa per lo scrittore. La donna non si limita a dattilografare i manoscritti di Céline – sorveglia l'inserimento delle moltissime correzioni tra una stesura e l'altra, corregge le bozze, verifica che ogni virgola sia a posto –. Soprattutto, durante l'esilio, è un tramite fondamentale tra Céline e il mondo esterno. Lo aggiorna su ciò che accade sulla scena delle lettere francesi, cerca di fornirgli materiale di prima mano sull'evolversi della situazione politica (soprattutto per ciò che riguarda una possibile amnistia), gli fa da agente cercando di piazzare qua e là i diritti delle opere rimaste senza editore. All'altro capo di tanta dedizione c'è lui, Céline. Le sue missive confermano la provvidenziale maniacalità dello scrittore sulla pagina («Non c'è dettaglio per quanto piccolo che mi possa spaventare! Me li accollo tutti! La singola virgola mi appassiona») come la sua smania di martirio tutt'altro che simbolica («È un atroce abominio essere perennemente ai margini... Intoccabile... sono ormai 4 anni che non dormiamo in un letto... che tiriamo avanti ad aringhe... almeno riuscissi a dormire ma gli incubi non mi mollano... vivo come Lady Macbeth... l'avventura da lontano è comunque un'avventura, da vicino è atroce sonnambulismo»).

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