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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2011 alle ore 08:21.

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Il fatto è che, per Céline, invettiva allucinata e conseguenti tribolazione e rovina sono lo speculare reale di una pietas che non esiste o non è più praticabile e, di conseguenza (per quanto possa sembrare paradossale), l'unica garanzia della preservazione dell'umano. È questo che lo condanna a essere sempre braccato. Céline, il violentissimo antisemita, il cui Viaggio al termine della notte fu però bollato nella Germania nazista come arte degenerata, il medico dei poveri che, come ricorda il traduttore italiano del Voyage, Ernesto Ferrero: «Quando i tedeschi arrivano a Parigi e la persecuzione diventa una pratica effettiva, si tiene però in disparte, rifiuta le tante offerte di collaborazione, si ritira sull'Aventino di Montmartre aspettando il peggio che s'è costruito con le sue mani».
Una vocazione irriducibile e impossibilitata alla definitiva messa a fuoco di cui, in un rivelatorio gioco di specchi, è lo stesso Céline a offrire l'ennesimo indizio proprio in una delle lettere a Marie. Parlando di Robert Denoël, il suo editore ormai anch'egli rovinato dalla guerra, dopo averne tracciato un quadro non proprio lusinghiero, scrive: «Ma insomma adesso è in disgrazia, e pertanto sacro».
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