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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2011 alle ore 09:02.

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Le foto di questo servizio sono state scattate alla Beida, la più antica università di pechino, considerata dal China education center la migliore del paese. fondata nel 1898 durante la cosiddetta «riforma dei cento giorni» per modernizzare il paese, oggi ha 30 college e 12 dipartimenti. nella colossale biblioteca dell'ateneo (4,5 milioni di titoli) lavorò a suo tempo anche Mao Tse-TungLe foto di questo servizio sono state scattate alla Beida, la più antica università di pechino, considerata dal China education center la migliore del paese. fondata nel 1898 durante la cosiddetta «riforma dei cento giorni» per modernizzare il paese, oggi ha 30 college e 12 dipartimenti. nella colossale biblioteca dell'ateneo (4,5 milioni di titoli) lavorò a suo tempo anche Mao Tse-Tung

Per secoli era stato semplice in Cina. L'antico esame imperiale che dava accesso alla carriera del funzionario di stato era un ponte: si diceva che da un lato c'erano le scarpe di pezza del contadino e dall'altro il mantello di seta del mandarino. Chi superava la prova entrava nella ristretta cerchia dell'aristocrazia del merito di quello stato che idealmente era quasi platonico; chi falliva restava nella folla dei sudditi che poteva solo sperare di ripetere l'esame o accumulare soldi o saggezza per avere un figlio o un discepolo che superasse il test per lui.

La fondazione di moderne università nelle grandi metropoli cinesi all'inizio del secolo scorso non cambiò la situazione. Nella percezione comune gli esami d'ingresso agli atenei divennero una modifica del vecchio esame imperiale: sempre molto elitario, difficilissimo, ma garanzia di una grande carriera nello stato. All'inizio di questo secolo molte cose sono cambiate, almeno in apparenza, con il drastico allargamento dell'accesso alle università.

L'anno scorso circa quattro milioni di ragazzi hanno superato il temutissimo esame che si tiene all'inizio di luglio. Sono una folla sterminata rispetto alla sparuta pattuglia di una decina di anni fa. La metà studia ingegneria e, diversamente dai colleghi più vecchi, molti di loro corrono seriamente il rischio di restare disoccupati dopo la laurea, un evento impensabile nel passato. Ma, come spesso accade in Cina, anche questi dati nascondono una realtà molto più complessa, perché non tutte le università hanno lo stesso valore. Non ci sono sistemi ufficiali di graduatoria, ma di certo solo l'1-2 per cento di tutti quelli che superano l'esame raggiungono un ateneo di prima grandezza, Beida o Qinghua a Pechino, oppure Fudan a Shanghai, o Nankai a Tianjin, o Nanda a Nanchino. Per i laureati d'élite la carriera è assicurata, o meglio è talmente sicura che oggi il problema è diventato quasi l'opposto.

Aziende e uffici si lamentano che chi esce da quegli atenei è arrogante, si comporta come se sapesse già tutto e attende solo di essere incoronato imperatore. Però sono bravi, bravissimi. I laureati di Qinghua vanno al Mit o ad Harvard solo se vogliono, in base a una semplice richiesta. Quelli degli altri grandi atenei sono corteggiati da tutti, in Cina e all'estero, e hanno solo l'imbarazzo della scelta per il lavoro. Le cose cambiano invece man mano che si scende nella graduatoria degli atenei. Tutti sanno che l'allargamento dell'accesso alle università è stato una scelta politica che obbediva a varie esigenze: migliorare la qualità dell'educazione generale, spostare di 4-5 anni l'accesso al mondo del lavoro e permettere di recuperare quei talenti eterodossi ma innovativi, quindi possibilmente rivoluzionari, che possono fallire il rigido esame selettivo. Oltre a questo funzionano sistemi di quote che tendono ad avvantaggiare la popolazione urbana rispetto a quella rurale, i maschi rispetto alle femmine.

La controprova? Per entrare alla Beida di Pechino, nel 2008 gli studenti che hanno ottenuto i punteggi più alti arrivano non da Pechino o Shanghai ma dalle regioni centrali del Sichuan e del Chongqing. Il meccanismo è stato studiato per accontentare gli elementi socialmente più pericolosi: i giovani maschi delle metropoli. Oggi nelle grandi città quasi ogni ragazzo che fa l'esame per entrare all'università arriva da qualche parte, senza che ciò però si trasformi in possibilità concreta di un lavoro importante. Molti ingegneri non sono qualificati, milioni studiano l'inglese ma pochi lo parlano. Alle periferie si raccolgono così i "villaggi delle formiche" (mayi cun). Sono i giovani arrivati dalla provincia nella capitale, laureati ma disoccupati o con lavori molto precari. Si aggrappano all'idea di restare a Pechino o a Shanghai, sperano di farcela come tanti loro coetanei americani che sognano New York.

Piangono e si lamentano della loro marginalità, ma forse non è vera disoccupazione neanche per loro. Nelle scuole delle campagne da cui sono venuti insegnano maestri senza laurea, tutti sarebbero felici di accogliere un giovane studioso in arrivo dalla città. Ma chi è stato a Pechino o a Shanghai e ha visto l'enorme differenza con la campagna non ha voglia di tornare, si sentirebbe sconfitto. Nessuno si lamenta della selezione durissima, che anzi è considerata garanzia di qualità. C'è chi protesta per imbrogli veri o presunti agli esami, chi chiede la modifica del sistema dei test, ma nessuno vuole l'abolizione del sistema. Anche perché, nell'immaginario collettivo, è ben presente uno dei periodi più neri del maoismo, quando, durante la rivoluzione culturale, il grande timoniere si inventò uno strano meccanismo: i liceali dovevano andare in campagna a studiare dai contadini e contadini, operai, soldati senza istruzione sarebbero invece andati all'università. Oggi, viceversa, per la prima volta nella storia l'istruzione superiore viene anche sfruttata nel suo potenziale di business.

Nel fine settimana, per non interferire con la normale agenda di lavoro, molti imprenditori di successo ma senza laurea o con titoli di secondo piano si affollano a corsi speciali o master organizzati dagli atenei più importanti. I figli dei nuovi ricchi che non riescono a superare l'esame per una buona università, o che semplicemente hanno qualche riserva sull'intero sistema scolastico cinese, troppo competitivo, vanno all'estero. Stati Uniti e Regno Unito sono le mete preferite, ma ci sono pure Australia, Canada, Irlanda, Nuova Zelanda.

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