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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2011 alle ore 19:22.

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Non lasciarmi
Decisamente lontano dagli eccessi visivi di «Sucker Punch» è invece il delicato «Non lasciarmi», il nuovo film di Mark Romanek a otto anni di distanza dal thriller «One Hour Photo» con Robin Williams.Tratto dal celebre romanzo di Kazuo Ishiguro, «Non lasciarmi» si apre con le parole di Kathy H, ragazza che racconta in prima persona la sua vita (e quella dei suoi amici Tommy e Ruth) a partire dai suoi ricordi d'infanzia. Cresciuti come orfani in una scuola, apparentemente idilliaca, isolata dal mondo esterno, i tre protagonisti scopriranno molto presto (grazie a un'insegnante dissidente) la loro vera natura: quella di cloni di esseri umani, nati soltanto per fornire, una volta raggiunta l'età adulta, organi per i trapianti.

Nonostante il tema sia molto abusato (anche da altra letteratura recente, si pensi a Michel Houellebecq), il romanzo di Ishiguro riesce a riflettere con forza sulla "scadenza" di vita che hanno i suoi personaggi (sanno di non poter sopravvivere alla terza donazione) come metafora dell'esistenza stessa di ogni essere umano. Mark Romanek riesce con buona sensibilità a mettere in scena il testo letterario, facendosi aiutare dall'ottima performance della protagonista Carey Mulligan, nettamente superiore ai suoi due partner Andrew Garfield e Keyra Knightley. Seppur le svolte narrative della pellicola rischino spesso di risultare prevedibili (anche per chi non ha letto il testo di partenza), «Non lasciarmi» riesce comunque a mantenere sempre alto il coinvolgimento emotivo del pubblico, fino alle sequenze finali in cui il "rischio" della commozione è davvero dietro l'angolo.

Frozen
Molto meno coinvolgente, nonostante il genere di appartenenza, è invece «Frozen» di Adam Green, regista noto soltanto agli amanti dell'horror per il suo «Hatchet» del 2006.
Protagonisti di questo suo ultimo lavoro sono tre studenti universitari che, come si evince facilmente fin dalla locandina, rimarranno sospesi a mezz'aria su una seggiovia bloccata, a causa di un equivoco fra i macchinisti, a metà del suo percorso. Inizialmente sperano che si tratti soltanto di uno stop temporaneo dell'impianto, ma poi capiscono di essere stati "dimenticati": la stazione sciistica riaprirà soltanto cinque giorni dopo. Una grande sfida girare un lungometraggio di 90 minuti con una trama del genere per un regista poco esperto: Adam Green l'ha capito bene e, per evitare danni eccessivi, tira per le lunghe un'insipida parte iniziale (dove i tre personaggi arrivano sulle piste e iniziano a sciare) in cui non si aspetta altro che il momento per il quale il film è stato concepito.

Rispetto all'affascinante «Buried»(a cui è stato paragonato) di Rodrigo Cortes, in cui il protagonista era chiuso in una bara per tutta la durata della pellicola, «Frozen» manca completamente di quelle idee necessarie per tenere alta l'attenzione del pubblico.
Il regista cerca di mostrare dove può arrivare l'istinto di sopravvivenza umana in una situazione che richiama le nostre paure più ancestrali, ma (a causa di svolte e imprevisti narrativi poco credibili) la sua riflessione cede molto presto il passo alla noia (grave se si pensa che si tratti di un thriller ad alta tensione!) e alla sempre più evidente banalità, il cui apice viene raggiunto in un finale che difficilmente potrà sorprendere gli spettatori.

Silvio Forever
A chiudere il cerchio delle uscite della settimana c'è un prodotto che ha già fatto (e farà) molto discutere: «Silvio Forever», documentario su Silvio Berlusconi, di Roberto Faenza e Filippo Macelloni. Dopo le polemiche, dovute alla decisione della Rai di non trasmettere il trailer integrale del film sulle sue reti, arriva nei cinema italiani in più di 100 copie l' "autobiografia non autorizzata" (come annuncia il sottotitolo sulla locandina) dell'attuale Presidente del Consiglio.

Scritto dai giornalisti Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, «Silvio Forever» è un documentario (o volendo un mockumentary) in cui Berlusconi, la cui ipotetica voce narrante è di Neri Marcorè, racconta la sua vita dall'infanzia fino all'imprenditoria e alla carriera politica. Roberto Faenza cerca di riprendere lo stile adottato nel 1978 per «Forza Italia», ironico (e anticipatore, visto il titolo) ritratto della classe politica italiana degli anni settanta, aggiornandolo alla situazione attuale. Tanti riferimenti ai più recenti fatti di cronaca (dalla madre Rosa Rossi Berlusconi che, in una vecchia intervista, annuncia che non si vedranno mai foto del figlio con delle donne, alle immagini di Berlusconi insieme a Gheddafi) non bastano però a decretare la buona riuscita di un prodotto scontato e poco coraggioso, seppur sia volutamente "neutro" fin dall'inizio, per buona parte della sua durata.

Gli autori hanno utilizzato noti materiali televisivi (comprendenti dichiarazioni, provocazioni e gaffe di Berlusconi), per la maggior parte già ampiamente sviscerati, con il fine di creare una sorta di archivio cronologico della carriera (nel bene e nel male) del protagonista della pellicola. Difficile però capire il senso di una tale operazione documentaristica, la cui utilità appare molto relativa visto che al centro vi sono immagini (e parole) che chiunque abbia fatto ricerche, o semplicemente si sia interessato alle vicende di Silvio Berlusconi, conosce già perfettamente.

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