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Questo articolo è stato pubblicato il 27 marzo 2011 alle ore 08:20.

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La retorica negli anni di Bush è stata più belligerante e meno ipocrita («war on terror», «long war», «surge»). Ma nella versione intellettuale di sinistra, la sua spavalderia da cowboy al massimo diventa la teoria del «male minore» proposta dal filosofo canadese e leader politico democratico Michael Ignatieff in The lesser evil. Political Ethics in an age of terror: a volte è necessario usare la forza per sconfiggere un male maggiore, ma non illudiamoci di fare una cosa bella. Stiamo solo scegliendo il male minore.
Il principio è chiaro: quando la forza è usata come strumento di liberazione invece che di oppressione, come mezzo per migliorare la dignità e per mitigare la sofferenza umana, può essere considerata moralmente necessaria.
L'Italia ha partecipato a tutte le guerre umanitarie. Con o senza l'assenso delle Nazioni Unite. Con governi di destra e di sinistra. Spesso con spirito bipartisan, l'unico che i due schieramenti abbiano mostrato di avere negli ultimi tre lustri. L'obiettivo finale è stato sempre quello della destituzione del despota: il regime change. A volte è stato detto esplicitamente, a volte no.
L'articolo 11 della nostra Costituzione afferma che «l'Italia ripudia la guerra», ma non si ferma lì, definisce anche il tipo di guerra che l'Italia ripudia: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli». Non c'è alcun divieto se la guerra non offende la libertà di altri popoli, se anzi la difende, la preserva, la garantisce. La Costituzione antifascista vieta le guerre di aggressione e l'uso della forza contro i popoli liberi, non gli interventi militari a favore degli oppressi. L'articolo 11 continua spiegando che l'Italia ripudia la guerra «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», ma un genocidio o una pulizia etnica o una minaccia di sterminio non sono più considerate «controversie internazionali».
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Queste guerre non sono mai soltanto umanitarie. Non servono soltanto a prevenire una tragedia o a espiare la colpa di non essere riusciti a evitarne una precedente. L'elemento buonista c'è in ciascuna di esse, compresa in quella irachena per esportare la democrazia, anche perché il fattore umanitario assieme a quello della paura di un attacco catastrofico è l'unico capace di mobilitare l'opinione pubblica occidentale, altrimenti indisponibile a riconoscere la presenza del male nel mondo.
Le guerre umanitarie sono anche geostrategiche. L'intervento nei Balcani è servito a cacciare un dittatore nazionalista al centro dell'Europa e ad allargare l'area democratica e atlantica fino ai confini con la Russia. Con la destituzione di Saddam e dei talebani, gli americani non hanno soltanto liberato due popoli, ma anche reagito agli attacchi islamisti del 2001 mutando lo status quo dispotico mediorientale e avviando un complesso esperimento democratico che si basa su elezioni e Costituzione.

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