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Questo articolo è stato pubblicato il 30 marzo 2011 alle ore 15:56.

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Si è appena conclusa, al Teatro Manzoni di Milano, la XXVI stagione di Aperitivo in Concerto, una delle più belle da quando l'ente musicale è stato istituito. Per capire questo punto di arrivo occorre una breve nota storica. Aperitivo è nato come istituzione dedicata ai concerti di musica contemporanea, tenuti di regola alla domenica in tarda mattinata, da cui il nome. Per qualche tempo ha stentato ad affermarsi, finché non è approdato alla direzione Gianni Gualberto con l'assistenza di Viviana Allocchio.

Noto esperto di jazz, Gualberto ha orientato i cartelloni, con opportuna lentezza, verso un jazz "aperto" in qualsiasi direzione, in primo luogo ovviamente verso la musica europea. Nello stesso tempo la città italiana del jazz, come si chiamava una volta Milano, perdeva il suo festival annuale del jazz che aveva luogo al Teatro Ciak, per cui ai cultori della musica afro-americana erano rimasti soltanto i club più noti, le Scimmie che quest'anno festeggiano il loro trentennale ospitando all'Auditorium un concerto del Tribe di Enrico Rava con Gianluca Petrella, e il più giovane Blue Note aperto nel 2003.

Aperitivo, anno dopo anno, ha cambiato la propria fisionomia proponendo concerti eccellenti, informativi, spesso esclusivi, e riuscendo ad avere la sala sempre esaurita in ogni ordine di posti. Nella stagione 2010-2011, da ottobre a marzo, ha allestito dodici concerti che meritano tutti la citazione: Charlie Haden Quartet West, John Zorn Masada Marathon, Avi Lebovich & The Orchestra, Dary James Argue & Secret Society, Travis Sullivan & The Bjorkestra con Dave Douglas, 3 Cohens, Abdullah Ibrahim & Ekaya, Ben Allison Quintet, Matt Darriau & Ballin' The Jack, Industrial Jazz Group, Pierre Dorge & New Jungle Orchestra con John Tchicai, Wadada Leo Smith & Organic.

Il jazz ha cambiato casa
C'è un particolare che si nota facilmente, cioè la presenza di robuste orchestre che nella fase attuale, per ragioni economiche, scarseggiano assai nei cartelloni che fanno spazio alla musica di derivazione americana. Ai musicofili più attempati, che temono da tempo il declino e la prossima scomparsa del "vero jazz", quello che ha caratterizzato per molti aspetti la musica del Ventesimo secolo, hanno risposto Pierre Dorge e John Tchicai che hanno offerto un pregevole concerto di jazz europeo. Il jazz non è morto e non muore, essi dicono. Ha soltanto cambiato di casa, trasferendosi dall'America all'Europa e altrove. A ben guardare, quindi, ha portato acqua a questo mulino anche lo straordinario pianista e compositore sudafricano Adullah Ibrahim.

La maratona di John Zorn
E però, se si chiedesse agli esperti di scegliere il migliore dei dodici appuntamenti, la risposta sarebbe pressoché unanime: la maratona favolosa del sassofonista e compositore John Zorn, una temeraria carrellata con la partecipazione di dodici gruppi (venti minuti di musica per ciascuno!), tutti in vario modo legati al poliedrico compositore-esecutore americano. Aperitivo ha il merito di intrattenere da anni con Zorn un rapporto costante e proficuo, e questa volta di averlo esaltato come merita. Si ricordi infatti che Zorn è uno dei musicisti contemporanei più multiformi, geniali e produttivi, impossibile da definire o peggio da incasellare in qualche genere o tendenza. Un altro concerto - oltre a Dorge e a Ibrahim - si è avvicinato a questo livello, ed è quello dell'Organic del trombettista Wadada Leo Smith che ha suggellato la stagione.

La formazione (quattro chitarre elettriche, un violoncello, un contrabbasso, un basso elettrico, una batteria) aveva lo scopo dichiarato di offrire un'interpretazione creativa del periodo "elettrico" di Miles Davis. Lo scopo è stato conseguito in modo brillante. Si sarebbe voluto un po' più di spazio per qualche egregio solista un po' sacrificato. Ma non si può chiedere troppo.

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