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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2011 alle ore 08:24.

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L'alta qualità delle opere esposte (tra cui spiccano molti dipinti di inattesa bellezza provenienti da prestigiose collezioni private), la raffinatezza dell'impostazione (dovuta all'impegno dei tre curatori Maria Teresa Benedetti, Stefania Frezzotti e Robert Upstone) e l'originalità dell'allestimento fanno di questa mostra aperta alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma certamente la più utile allestita su un tema – quello dei Preraffaelliti e la loro predilezione per l'Italia – che è ultimamente un poco inflazionato.
Il serrato dialogo tra le oltre cento opere esposte e i molti approfondimenti in un catalogo ricchissimo di illustrazioni rivelano, in un arco di tempo che va dagli anni Venti dell'Ottocento sino al primo decennio del secolo successivo, il ruolo svolto dagli ambienti artistici inglesi nella percezione dell'arte italiana tra il Medioevo e il Rinascimento.
È questo il periodo storico in cui vengono creati i grandi "miti" come quelli di Giotto, di Michelangelo, di Botticelli, di Tiziano, di Tintoretto, "miti" destinati, anche dopo il loro ridimensionamento da parte della storiografia successiva, a resistere a lungo nell'immaginario comune. In Inghilterra la passione per l'antica pittura italiana nasceva anche da una straordinaria consuetudine con la quantità di opere arrivate nell'isola a seguito della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche. Londra continuerà a essere per tutto l'Ottocento il centro del mercato dell'arte antica, e mentre le collezioni private si moltiplicavano formandosi e disfacendosi, molti capolavori entravano definitivamente nei grandi musei pubblici nati tutti a metà del secolo, in particolare nella National Gallery. È qui, ancora prima di scendere in Italia, o magari senza andarci affatto, che gli artisti trovavano alimento e ispirazione alla loro creatività. Così Turner, ancor prima di recarsi a Venezia e a Roma, era già stato profondamente influenzato da Tiziano, da Veronese o da Salvator Rosa visti al museo. Una suggestiva sezione della mostra, dedicata ai dipinti antichi (presenti Giotto, Botticelli, Carpaccio, Giorgione, Perugino, Luini, Tiziano, Veronese, Tintoretto) indica l'importanza di questi incontri fatali. Anche se, spesso, il rapporto era mediato dalle riproduzioni. Grazie a tecniche sempre più sofisticate, le fotografie erano diventate sempre più fedeli e avevano conosciuto un formidabile incremento. Potevano sostituire la conoscenza diretta delle opere, preparare al viaggio in Italia oppure alimentare il ricordo di quello che si era avuto la fortuna di ammirare dal vero.
Dell'enorme quantità di riproduzioni disponibili, la mostra ha voluto puntare su un'ampia scelta di quelle che allora ebbero un'influenza decisiva, come ad esempio le serie che Carlo Lasinio dedicò agli affreschi – oggi in gran parte scomparsi – del Camposanto di Pisa, il monumento italiano forse più frequentato e ammirato dagli stranieri nell'Ottocento. Dante Gabriel Rossetti ha lasciato scritto: «Benozzo Gozzoli era un dio». E lo stesso si può dire per l'allora idolatrato Andrea Orcagna.

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