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Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2011 alle ore 09:06.

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Ludwig Wittgenstein nel sessantennale della morteLudwig Wittgenstein nel sessantennale della morte

Forse nessuno più di Ludwig Wittgenstein poteva avere una concezione di che cosa fosse la Storia, sebbene portasse tale convinzione in grembo, senza poterla esprimere o rivelarla nemmeno a se stesso, come il portatore sano di una malattia.

Gli eventi del Novecento l'avevano penetrato da capo a piedi, per quanto cercasse di ignorarli, o di sacrificarli sul solo altare che conosceva: il pensiero. A lui non interessava altro che la verità, fosse essa di natura logica o morale: che emergesse dalla forma generale di una proposizione, o in una lettera di confessioni ad un amico.

La Storia era per lui solo uno sfondo. Nel teatro dell'essere, era banalmente solo.

Quello che fu uno dei più grandi filosofi del secolo scorso — e per una volta, davvero, l'espressione non suona iperbolica — morì a Cambridge sessant'anni fa, alla fine di aprile, al capezzale del dottor Bevan. Era nato a Vienna nel 1889, rampollo di una ricchissima famiglia austriaca, uno che fra i primi ricordi poteva vantare la barba di Brahms ad accarezzarlo nella culla.

Pare allora quasi un regalo del destino la scoperta di suoi materiali inediti proprio nell'anniversario della morte.

L'archivio inedito è stato riscoperto dal professore di Cambridge Arthur Gibson. Il materiale (perduto durante la seconda guerra mondiale) è molto vasto e la sua caratteristica principale, secondo Gibson, sta nel fatto di essere stato dettato da Wittgenstein al giovane amante Francis Skinner - qualità che lo rende particolarmente fresco, diretto, quasi orale: "E' come scrutare nella sua mente", spiega Gibson, che valuta la scoperta di straordinaria importanza per rileggere e ricomprendere alcuni aspetti cruciali del pensiero di Wittgenstien.

In fondo, il destino fu per Wittgenstein qualcosa da sfidare di continuo, un angelo da combattere viso a viso. Lo fu sin dal momento in cui scoprì e coltivò la propria vocazione: ingegnere austriaco che parlava male l'inglese, divenne discepolo e poi collaboratore del grande Bertrand Russell, il quale rimase allibito dal suo talento.

Ma la vita accademica non faceva per lui. Si ritirò in solitudine sui fiordi norvegesi per cercare una soluzione ai problemi lasciati aperti dai Principia Mathematica. Nelle retrovie della prima guerra mondiale — per la quale si era arruolato nell'agosto 1914 — continuò a lavorare con disperazione e pervicacia. In un'officina dell'artiglieria di Cracovia si scervellò sulla logica e la teoria della raffigurazione.

In tutte queste difficoltà fu sorretto da una convinzione radicale: non esiste altro mondo se non il tuo mondo: se vuoi migliorare il mondo, devi migliorare te stesso.

Il 29 aprile 1916, tre giorni dopo il suo ventisettesimo compleanno, ricevette il primo impatto col fuoco russo. Con sé aveva soltanto un taccuino e una penna, e dentro il taccuino il nascente Tractatus logico-philosophicus, croce e delizia di tutti gli studiosi di filosofia contemporanea.

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