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Questo articolo è stato pubblicato il 08 maggio 2011 alle ore 14:09.

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Fotografia Brescia e Amisano © Teatro alla ScalaFotografia Brescia e Amisano © Teatro alla Scala

Dopo sei brillanti rappresentazioni, la ribalta del Teatro alla Scala si è spenta ieri sera su Quartett, opera in un atto e tredici scene (un'ora e mezza di musica) di Luca Francesconi su commissione della Scala in prima esecuzione assoluta, dalla pièce teatrale omonima di Heiner Muller tratta a sua volta da Les Liaisons Dangereuses di François Choderlos de Laclos. Luca Francesconi è autore anche del libretto scritto in inglese. Gli ho chiesto il motivo di questa scelta. «Perché la lingua inglese, anche nelle sue forme più belle ed eleganti, è ormai una sorta di esperanto. Ed è quella che meglio si addice ai mixaggi di musica europea, jazz, folk, popular music, elettronica presenti non da oggi nelle mie partiture». Così ha risposto.

Questa allusione di Francesconi è bastata ad accendere il ricordo lontano, in chi ebbe la fortuna di esserci, di un evento che sollecitò previsioni certe sul futuro eccellente e multiforme del maestro. Nel 1984 il Teatro Lirico di Cagliari, allora ospitato dal Conservatorio, propose il quartetto del pianista e compositore Franco D'Andrea con il gruppo Africa Djolé del master percussionist Fode Youla della Guinea. Le loro musiche dovevano essere riunite in forma sinfonica (Suite 1984) dal ventottenne Luca Francesconi per l'esecuzione dell'Orchestra del Teatro diretta dallo stesso Francesconi fresco di studi severi, assistente di Luciano Berio e «allievo per il jazz di D'Andrea», come amava definirsi. Il concerto attirò da ogni dove gli esperti desiderosi di novità e di promettenti sincretismi fra civiltà musicali diverse, e fu un trionfo. Cinque anni più tardi il Teatro dell'Elfo di Milano mise in scena Quartett di Heiner Muller con i personaggi di Choderlos de Laclos limitati a quattro: due carnefici e due vittime, è stato ben detto, impersonati in successione soltanto dai due carnefici, i soli presenti in scena. Nel 2005, poi, ecco Quartett al Piccolo Teatro di Milano con l'inarrivabile Isabelle Huppert e con Ariel Garcia Valdès.

Ci voleva del coraggio a farne un melodramma, testo e situazioni osé compresi. Francesconi ci ha provato e c'è mirabilmente riuscito. D'altra parte, non pochi gli hanno chiesto in che modo possa fare tutte le cose che fa, che qui non è certo il caso di riassumere. Non gli mancava altro, dal 2008 e per quattro anni, che la direzione della Biennale Musica di Venezia sostenuta in modo stupendo. E' un incarico che tende a diventare vitalizio. Non a caso, lasciata Venezia, dal 2012 Francesconi diventerà direttore del Festival Ultima a Oslo.

Quartett come opera è un'antologia di soluzioni geniali. C'è aderenza perfetta della musica – concepita con il mix di cui sopra – al testo, e incantevoli sono le voci del soprano Allison Cook come Marquise de Merteuil e del baritono Robin Adams come Vicomte de Valmont, perversi al punto giusto anche in qualità di attori e ingabbiati in un parallepipedo nero sospeso al centro della scena. Due sono anche le orchestre ricavate dalla scissione della formazione della Scala: una piccola (In) ben diretta dalla finlandese Susanna Malkki – finalmente una donna, e pure bella! – e una grande (Out) con il coro, invisibile e altrettanto meritoria, diretta da Jean-Michael Lavoie. Magnifiche le proiezioni video che accompagnano il canto e l'azione, specie i visi giganteschi della marchesa e del visconte che osservano se stessi prigionieri del parallelepipedo.

La vicenda è abbastanza nota o così dovrebbe essere. Marteuil e Valmont furono amanti adusi a ogni sorta di laidezze, ora sono complici acri e malvagi che giocano con parole impudiche e sprezzanti e con le vite degli altri, specie della vergine Volanges e della onesta Tourvel, con le quali pervengono a scambiarsi i ruoli e a recitarli (da cui il titolo Quartett). Ma il visconte si innamora della Tourvel: ciò infrange ireeparabilmente il gioco e provoca la furente gelosia della marchesa che lo uccide con un bicchiere di vino avvelenato. Non per nulla è la donna che sopravvive.

Le rappresentazioni di Quartett hanno registrato posti esauriti e applausi prolungati e crescenti. Avrei delle riserve, peraltro, circa l'unanimità degli spettatori scaligeri. La mancanza dell'intervallo ha impedito di cogliere i commenti. Ma non è stato difficile origliare mormorii di anime candide di fronte all'azione border line e alle parole tradotte in italiano. Si rifletta comunque su questo virgolettato che non sono il primo a citare: «Quella coppia che si scanna dentro la sua roccaforte è una metafora di sconcertante attualità del nostro mondo di occidentali…Noi che pensiamo che quattro mura possano salvarci e separarci dal temibile sud del mondo. Noi che siamo il 15% del pianeta e ne consumiamo l'80% di energia. Una civiltà sterile che si avvita su se stessa, che al sacro ha preferito la technè, che pensa di poter controllare tutto, persino la natura».

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