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Questo articolo è stato pubblicato il 08 maggio 2011 alle ore 08:21.

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Quella che per un anno da ora si presenta ai visitatori della basilica francescana di Santa Croce a Firenze è un'autentica opportunità da «una volta nella vita». Perché con un ascensore si può accedere fino all'ultimo dei nove livelli del ponteggio installato dal 2005 nella cappella maggiore e nel transetto che annovera altre cappelle con favolosi affreschi di Giotto e Maso di Banco. Quel che si vede bene dai ponteggi sono 850 metri quadrati di pittura, ovvero il ciclo con la Leggenda della Vera Croce di Agnolo Gaddi, "nipote" in senso professionale di Giotto, poiché suo padre Taddeo ne era stato il più stretto seguace.
Il cantiere odierno – che viene ora reso agibile a lavori ultimati – è servito per una campagna di indagini e per un intervento di restauro nel periodo 2005-2010. Straordinaria l'origine dell'impresa, che risale a un atto di puro mecenatismo da parte di un uomo d'affari giapponese, il signor Tetsuya Kuroda. Questo generoso donatore ha messo a disposizione una somma davvero rilevante per restaurare una pittura murale eseguita entro i primi del Cinquecento da scegliere ovunque in Italia a una sola condizione: che del restauro fosse responsabile il settore Pitture Murali dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze. La volontà del signor Kuroda è nata dopo la visione di un documentario sull'arte e il restauro italiani curato da Takaharu Miyashita, docente nell'università di Kanazawa e per anni frequentatore di Firenze e conoscitore delle sue eccellenze. La stima di Miyashita per l'antico Opificio fiorentino e per il suo ruolo attuale nel restauro e nella ricerca, ha indirizzato in modo decisivo il programma sottoscritto nel 2004 dopo due anni di trattative, programma cui hanno contribuito l'Opificio (e quindi il ministero Beni Culturali), l'Università di Kanazawa e, non appena individuato il ciclo gaddiano, l'Opera di Santa Croce che lo ha sostenuto anche finanziariamente.
Restauratori, storici dell'arte, esperti scientifici dell'Opificio e di altri istituti (con l'aggiunta del Getty Conservation Institute per un progetto specifico) hanno portato a termine in cinque anni quello che è certo destinato a entrare nella storia del restauro come un intervento impegnativo, costellato di sfide ma ricco di risultati, primo tra i quali la messa in sicurezza delle superfici dipinte, anche nelle zone più fragili e compromesse.
Fin dalle prime analisi, infatti, si era visto che gli affreschi tendevano a "spolverare", per la presenza di gesso originato dall'umidità e dall'inquinamento. Altri danni (lesioni, infiltrazioni, cadute di colori applicati a secco) avevano aggravato la situazione. Alla fine del consolidamento, della riadesione e della pulitura della pellicola pittorica, e dopo una fase finale di sensibile e prudente integrazione cromatica delle parti abrase e stuccate, colpisce per la sua freschezza pittorica il ciclo che è rimasto finora, in un certo senso, un grande "sconosciuto" all'interno di una chiesa notissima qual è Santa Croce.

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