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Questo articolo è stato pubblicato il 19 maggio 2011 alle ore 16:22.

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La genesi della Dinitech, l¹impresa pisana che ha brevettato una stampante in 3D in grado di costruire intere città, ricorda uno di quei romanzi dell¹Ottocento in cui il corteggiatore parte per far fortuna prima di chiedere la mano della donna dei suoi sogni.

La racconta proprio così Enrico Dini, con il cuore in mano e con il bruciante bisogno di pronunciare il nome dell¹amata anche davanti agli sconosciuti. «Mi sono pazzamente innamorato di Anna, una donna inglese: ho lasciato famiglia e lavoro, mi sono trasferito a Londra, ho ipotecato la casa tutto per lanciare la mia invenzione, per dimostrarmi economicamente affidabile e farle una buona impressione!».

Chissà se i libri di storia dell¹architettura citeranno il movente amoroso celato dietro a D-Shape, il nome della miracolosa macchina di Dini che nella mente dei professionisti ha già cambiato la tecnica delle costruzioni. Nella pratica per il momento si possono toccare con mano solo sculture, arredi urbani, sezioni-campione di abitazione, ma Enrico e suo fratello Riccardo, che con lui divide la direzione dell¹azienda, hanno in cantiere progetti che guardano già alla Luna. Letteralmente: con lo studio di Norman Foster, la Scuola Superiore Sant¹Anna e Alta, società legata all¹Università di Pisa, stanno lavorando per costruire edifici sul nostro satellite a partire dal 2020.

La tecnologia rivoluzionaria della loro stampante permette infatti di eliminare quasi del tutto il trasporto dei materiali in quanto D-Shape edifica stratificando millimetro su millimetro sabbia cavata in loco e trasformata in roccia con leganti estratti dall¹acqua di mare; lo spessore, la densità, la forma, il colore della roccia sono dettati da un ordinario file Cad.

L'impatto ambientale è quindi bassissimo, praticamente zero quello visivo (a Porto Rotondo si costruirà una grande villa mimetizzata nella macchia), i tempi di edificazione potenzialmente ridotti a un quarto e i costi tagliati a metà rispetto a quelli tradizionali. «Sono bersaglio giornaliero di opportunità magnifiche devo difendermi da me stesso perché se rincorro cento lepri le perdo tutte quante!», afferma Dini riguardo alle richieste d¹impiego che gli arrivano dal Marocco alla Russia, dal Sud Africa all¹Australia, ma riferendosi soprattutto alle mille idee che ogni giorno scoppiettano tra lui e il fratello: barriere coralline, ponti, una città negli Emirati Arabi per dimostrare che si può oasificare il deserto in modo etico, con «le case concepite come note su uno spartito, con un¹armonia del modulo architettonico che produca delle variazioni sul tema musicale».

È da una ventina d¹anni che nell¹industria manifatturiera si legano strati di polimeri in polvere con il metodo dell¹inkjet 3D printing per produrre un po' di tutto, dalle suole delle scarpe a vari tipi di prototipi. La stampante dei fratelli Dini misura sei metri per sei e lavora in modo simile stendendo fogli di sabbia su cui scrive con l¹inchiostro-collante; passaggio dopo passaggio si crea un cubo di granelli che alla fine del procedimento vengono spazzolati via fino a rivelare la creazione. La Dinitech, che occupa un capannone di 1.200 metri quadri fuori Pisa, è infatti perennemente avvolta nella polvere bianca.

La sabbia sottile vela ogni cosa e tentare di proteggere i computer è una battaglia persa, ma c'è un'atmosfera famigliare di allegra partecipazione alla riuscita di ogni pezzo, condivisa con lo stesso fervore dal capo come dall¹operaio. Forse perché dietro l¹intuizione di D-Shape ci sono i castelli di sabbia che Enrico costruiva sulla battigia tirrenica, ricordi e giochi d¹infanzia in cui tutti si riconoscono.

Quarantanove anni, ingegnere civile per anni prestato alla robotica, si definisce 'lo scemo di famiglia': «Mio fratello Riccardo, che ha otto anni più di me ed è ingegnere meccanico, è sempre stato quello geniale, quello delle idee ganze. Questa volta però l¹idea ganza l¹ho avuta io!».

Tanto che tra i professionisti il suo nome è già usato come sinonimo del macchinario, del processo chimico e del prodotto, e più in generale della stampa in 3D a grandi dimensioni. Dopo la rivoluzione del cemento armato, spiega, con la sua stampante arriva quella delle forme libere, naturali, organiche, concave, convesse, porose, come lavorate dal tempo. «La vera invenzione è una nuova forma di architettura - si eccita Dini -, l¹aver dato, seppur inconsapevolmente, un impulso concreto e una prospettiva di realizzabilità alla geometria generativa e al computational design, quella branca dell'architettura in cui invece di disegnare delle superfici si lavora su algoritmi di accrescimento, e che fino a poco tempo fa era solo un esercizio accademico».

Tra i tanti progettisti che hanno avvicinato la Dinitech c¹è l¹australiano Mark Burry che segue il completamento della Sagrada Família, e che con D-Shape vorrebbe finire almeno la chiesa di Colònia Güell, la cui costruzione fu interrotta da Gaudí per mancanza di fondi. Creare oggi le 'impossibili' forme organiche tanto amate dall¹architetto catalano con la stampante di Dini costerebbe dai mille ai duemila euro al metro cubo di bounding box (il volume di sabbia necessario a produrre l¹oggetto). «Il prezzo obiettivo per l¹edilizia (dopo aver realizzato qualche super-villa per super-ricchi) dovrebbe attestarsi nel 2020 da 300 a 700 euro al metro quadro, solo per la parte grezza» prevede Dini. Cui non si può fare a meno di chiedere se si senta più ingegnere, inventore, imprenditore o artista. «Per indole sicuramente un creativo che rincorre il bello e l¹originale: realizzare cose già fatte mi disturba - risponde -. Ma sono anche cresciuto con un padre ingegnere che per la Piaggio ha progettato di tutto e che mi ha insegnato a smontare i problemi e ad applicare ogni strumento scientifico per risolverli.

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