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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2011 alle ore 19:59.

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The tree of lifeThe tree of life

Ha vinto il massimo riconoscimento della 64esima edizione del festival di Cannes, la Palma d'oro al miglior film, l'opera che ha diviso la critica, The tree of life di Terrence Malick. C'era chi aveva molto amato l'atmosfera naive in cui l'attrice Jessica Chastain (Mrs O'Brien) immergeva tutto ciò che le ruotava attorno, i tre figli maschi e la natura che la accettava come un elemento suo proprio. Chi aveva sofferto con lei di quel dolore per la perdita massima che un essere umano può tollerare, la morte di un figlio, a cui corrispondeva un senso di accettazione profonda, pari a quella a cui l'universo si adegua nello scontro di pianeti, nel ribollire di galassie, nelle eruzioni vulcaniche sulla terra, nelle mareggiate che tutto travolgono. Questo aveva mostrato il film di Malick in un disegno sovrumano e religioso che ammiccava a certo cristianesimo new age.

Eppure c'è chi si è ritrovato nel suo umanissimo desiderio di dare una spiegazione al nostro esistere, anche al di là della religione, e chi lo ha rigettato da subito, bollando il film come eccessivamente ambizioso. La giuria, capitanata da Robert De Niro, molto divisa fino all'ultimo, ha dimostrato di essere dalla parte dei sostenitori dell'opera. Il regista texano non è venuto a ritirare il premio. Non si era presentato nemmeno in conferenza stampa; da più di 40 anni, l'autore de La sottile linea rossa non concede un'intervista o si fa vedere in pubblico, data la sua avversione nei confronti dei media.
Il gran premio speciale della giuria quest'anno è stato un ex equo. E' andato ai fratelli Dardenne, già collezionatori di Palme d'oro (Rosetta nel 1999 e l'Enfant nel 2005) per Le gamin au vélo, che racconta la storia di Cyril (Thomas Doret, che timidissimo si è alzato dalla poltrona), abbandonato dal padre in un orfanotrofio da cui scappa, trovando in Samantha (Cécile de France) un padre e una madre. Once upon a time in Anatolia, l'altro film a cui è andato il riconoscimento, è invece un'ironica e lentissima ricostruzione di un omicidio in Turchia di Nuri Bilge Ceylan, già premio per la regia a Cannes nel 2008 per Three monkeys, mentre il suo Distant vinse il Gran premio della Giuria nel 2002.
Applauditissimo il migliore interprete maschile, Jean Dujardin, protagonista di The artist di Michel Aznaviciuos, mélo muto in bianco e nero, vera e propria rivelazione del festival.

La Palma come migliore regista se l'è invece aggiudicata Drive di Nicolas Winding Refn, che è piaciuto senza mezze misure, molto o per nulla, ma la cui tecnica registica di stampo anni Settanta ha affascinato la giuria.
A sorpresa, invece, il premio come migliore interpretazione femminile s'è l'è aggiudicato Kirsten Dunst, protagonista del catastrofico Melancholia di Lars von Trier; riconoscimento ottenuto, oltre che per omaggiare la bravura dell'attrice, per sottolineare che realmente il festival di Cannes, dopo le dichiarazioni di simpatia filonazista del regista danese, ha bandito l'uomo e non l'opera. Infine, il premio alla migliore sceneggiatura è andato all'israeliano Joseph Cedar per Hearat Shulaym, mentre il premio della giuria a Polisse di Maiwenn, in cui recitava anche Riccardo Scamarcio, unica presenza italiana nel palmares, nonostante i buoni auspici per This must be the place di Paolo Sorrentino e Habemus papam di Nanni Moretti, rimasti ingiustamente a mane vuote.
La Camera d'or, premio per la migliore opera prima, è andato a Las Acacias Pablo Giorgielli nella sezione Semaine de la Critique e per il cortometraggio alla russa Maryna Vrod per Cross country.

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