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Questo articolo è stato pubblicato il 07 giugno 2011 alle ore 13:31.

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Con La costruzione della realtà sociale (1995), Searle è diventato famoso per la semplicità con cui spiegava la genesi degli oggetti sociali: X conta come Y in C, ossia l'oggetto fisico X conta come l'oggetto sociale Y nel contesto C. Ad esempio, questo pezzo di carta (X) conta come una copia de «Il Sole 24 Ore» (Y) il 9 maggio del 2010 (C). Bene. Ma prendiamo il debito pubblico della Grecia, che sta creando tanti problemi in questo momento, dov'è l'oggetto fisico X la cui assenza produce tante catastrofi sociali Y in un contesto C (l'Europa del 2010)? Evidentemente, non è qualcosa come la marea di petrolio nel Golfo del Messico, eppure sta creando danni enormi. Si legge che in certi giorni si sono «bruciati milioni di euro», ma non si è visto nemmeno un filo di fumo. A ben vedere, la regola di Searle ha, nella realtà economica, una sola applicazione, decisamente perversa, la crisi dei rifiuti a Napoli: l'oggetto fisico X (immondizia) conta come l'oggetto sociale Y (un affare da milioni) in C (l'Italia del 2008).


È in considerazione di questo problema che Searle, in Making the Social World appena uscito ha cambiato la sua regola costitutiva, che diventa: «Facciamo che sia il caso, attraverso una Dichiarazione, che esista una funzione di status Y in un contesto C». La regola ha il vantaggio di non invocare più degli X spesso difficili da trovare, ma ha almeno due svantaggi: primo, non è altrettanto chiara; secondo, fa dipendere tutta la realtà sociale, e questa volta in forma totalmente esplicita, dalla intenzionalità collettiva. Perché, in definitiva, il solo tipo di realtà sociale che viene effettivamente spiegato da questa regola è l'orinatoio di Duchamp: per dichiarazione, si decide che qualcosa è un'opera. Ma, di nuovo, non si capisce perché mai, nel caso della crisi economica del 2009 avremmo (e chi poi?) deciso di far cadere le borse. Ben lungi dal convalidare la regola costitutiva del 2010, la crisi economica sembra capovolgere la regola costitutiva del 1995: l'oggetto sociale Y (titoli tossici) conta come l'oggetto fisico X (carta straccia) in C (l'economia mondiale).


Searle dunque crede di aver risolto il problema dell'oggetto fisico X, ma ha dovuto pagare un prezzo altissimo, cioè far dipendere l'intera realtà sociale da una funzione immaginaria, ossia l'intenzionalità collettiva, quella che sta dietro alle "dichiarazioni" che facciamo. Così, Searle non esita a dire che la recente crisi economica dimostra come il denaro e altri strumenti della realtà sociale siano frutto di una massiccia immaginazione. Io credo piuttosto che, oltre ad aver causato sofferenze realissime a milioni di persone, la recente crisi economica abbia dimostrato che la teoria di Searle è frutto di una massiccia immaginazione e che l'intenzionalità collettiva è un puro mito filosofico, perché ovviamente verrebbe da dire: se la realtà economica dipende davvero dalla immaginazione, perché non immaginiamo di arricchirci invece che di impoverirci? Se qualcuno ci dice che il denaro è frutto della immaginazione c'è una sola obiezione sensata: «Allora dammi i tuoi soldi».


In tutto questo c'è una qualche ironia. Dopo una vita passata a combattere i postmoderni, Searle si trova ad essere un postmoderno fatto e finito. I postmoderni sostengono che nulla esiste al di fuori del testo, e Searle asserisce che nulla esiste al di fuori della testa, cioè del contenitore di quella funzione magica che lui chiama «intenzionalità collettiva». Siamo a due passi dall'immaterialismo del vescovo Berkeley (che – nome e necessità? – intitola l'università in cui insegna Searle), e tuttavia, di nuovo, a questo risultato Searle arriva proprio a causa del suo naturalismo: se sei convinto che esistano soltanto atomi e molecole, e che tutto il resto è immaginazione, schiamazzi e fantasmi che ci girano per la testa, allora necessariamente, una volta che hai tolto di mezzo la base fisica degli oggetti sociali (come avviene nel passaggio dalla regola del 1995 a quella del 2010) hai trasformato il mondo sociale nella favola raccontata da un folle.


Il naturalismo nel mondo sociale porta necessariamente al misticismo. La via da seguire è dunque un'altra, e cioè il realismo. Che nella fattispecie significa riconoscere che non è vero (come dicono i postmoderni) che nulla esiste fuori del testo, perché la marea di petrolio purtroppo non esiste solo sui giornali. Ma significa anche, e soprattutto, riconoscere che non è nemmeno vero che nulla di sociale esiste fuori della testa (come sostiene Searle), dal momento che il denaro che ha in tasca continuerebbe a valere anche se lui si dimenticasse che cosa vuol dire "denaro". Il punto è piuttosto che, come ho sottolineato più volte, nulla di sociale esiste al di fuori del testo, ossia di quel reticolo di iscrizioni (conti, archivi, borse, listini, giornali, siti web, telefonini) che invadono la nostra vita. Sono quelle iscrizioni che, d'accordo con la regola Oggetto = Atto Iscritto, costruiscono la realtà sociale, attuando la nostra volontà (come quando facciamo una promessa) ma anche contrastandola (come quando dobbiamo mantenere una promessa e non ne abbiamo più voglia) e – cosa secondo me ancor più interessante – suscitandola.


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