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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2011 alle ore 18:50.

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Gruppo di esistenze alla deriva in un interno, tra Argentina ed Europa dell'Est.Gruppo di esistenze alla deriva in un interno, tra Argentina ed Europa dell'Est.

Ci sono alcuni indizi: una pistola, delle videocassette compromettenti, strane telefonate, una ragazza scomparsa, una nave affondata in circostanze oscure, una deflagrazione improvvisa di muri e oggetti. Sembra di essere dentro la trama di un film di David Lynch, dove un grande mistero avvolge tutto. Sembra di capirci qualcosa, poi, invece, ci si smarrisce dentro. «Uno spettacolo da percepire», è l’avvertenza del regista Luca Ronconi.

Segue il classico meccanismo del giallo “La modestia” dell’argentino Rafael Spregelburd, autore cult ormai mondiale, scoperto e tradotto da noi dalla regista Manuela Cherubini che lo ha già messo in scena insieme ad altri testi fra cui la rocambolesca “teatronovela” “Bizarra”. L’allestimento proposto ora da Ronconi al Festival di Spoleto è un perfetto e ammaliante congegno ad orologeria innescato da quattro a dir poco superbi attori, Maria Paiato, Fausto Russo Alesi, Paolo Pierobon e Francesca Ciocchetti, che danno corpo e forma a questo testo visionario, ironico, dalla scrittura febbrile vicina all’assurdo ma con reali matrici storiche e politiche dell’oggi, ben congegnato dal punto di vista narrativo, che però sovverte le regole delle comunicazione teatrale. E, forse, è proprio per questo vischioso e incomprensibile groviglio, che vorrebbe escluderci dal gioco di comprensione, che restiamo attenti e coinvolti. D’altronde le intenzioni dell’autore sono di spiazzare lo spettatore, per condurlo, attraverso una disintegrazione mentale, a quella dissoluzione comportamentale della morale e di un’epoca, la nostra, che è alla base del suo teatro, atipico e sperimentale.

Ad ispirare il testo, terzo dei sette capitoli del progetto “Eptalogia”, è stata l’epoca del pittore fiammingo Hieronymus Bosch rappresentata nel quadro omonimo, dove sono raffigurati i sette peccati capitali. Spregelburd li riscrive, ribaltandoli, in chiave contemporanea, a formare altrettante pièces su paranoia, caparbietà, stravaganza, panico, stupidità, inappetenza e finta modestia al posto della superbia. La modestia quindi come peccato «il piacere superbo e colpevole – spiega l’autore – che nasce dal gesto disperato di cercare di essere un po’ meno di ciò che si è, con l’obiettivo segreto, a volte, di pagare in comode rate questo dubbio infinito».

Inizia come una commedia degli equivoci con un uomo intento a frugare dentro un appartamento sorpreso dalla padrona di casa che gli punta la pistola. L’intruso impacciato non sa perché si trovi lì. Segue un dialogo che presto apre squarci di storie con una “logica” di cui sfugge il senso. Subentrano altri due personaggi che introducono un’altra trama. Ritornano poi quelli di prima, ma in un ruolo differente. E così via in uno scambio e intreccio di18 scene alternate, senza soluzione di continuità, sempre dentro quel luogo domestico per due storie parallele con gli interpreti che si sovrappongono, si confondono, si contagiano. La prima si svolge in una Buenos Aires dei giorni nostri; la seconda in un Paese dell’Est di un tempo passato.

Alla prima e più incomprensibile vicenda di un quartetto, fra cui un avvocato, invischiato in loschi affari con identità indecifrabili che alludono a fatti banali mentre fumano spinelli, parlano di relazioni che non sappiamo se immaginarie o reali, subentra la vicenda più “lineare” di uno scrittore in crisi, malato di tubercolosi e prossimo a morire, che un medico ambizioso – un immigrato senza permesso di soggiorno - promette di guarire in cambio dei diritti di un romanzo che egli dovrà portare a termine e gli procurerà sicura ricchezza. In realtà, quel romanzo forse è già stato scritto, all’insaputa dello stesso autore, dal suocero defunto o dalla moglie che lo ama e lo vuole salvare. Nel procedere delle tre avvincenti ore di spettacolo dall’andamento romanzesco, alla Feydeau, con striature cechoviane – incluse citazioni – e atmosfere alla Hitchcock, ascoltiamo echi di dittature militari, di crisi economica, di razzismo, di immigrazioni coreane, di muri abbattuti, di cospirazioni e spionaggi. Insomma, un mondo che ci appartiene. Come ci appartengono, di queste esistenze alla deriva, i sentimenti che nelle venature del testo s’insinuano: la disperazione, il dubbio, la paura, la mortificazione, la pietà, spazzate via, infine, dalla donna sopravvissuta che rabbiosamente butta a terra i vasi di fiori che affollavano l’interno di mattonelle verdi della bella scena carica di mobilio, suppellettili, e porte che s’aprono sul nulla. I sogni infranti a suggello della crisi del nostro tempo? Forse questo, e molto altro ancora.

“La modestia” di Rafael Spregelburd, regia di Luca Ronconi, scene Marco Rossi, costumi Gianluca Sbicca, luci A.J. Weissbard. Al Festival di Spoleto e, dal 9 luglio al Mittelfest di Cividale. Nella prossima stagione al Piccolo di Milano.

www.festivaldispoleto.com

www.mittelfest.org

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