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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2011 alle ore 18:36.

Cosa fare, allora? Al punto in cui siamo, mi sembra riduttivo perfino parlare di incrementare il dialogo tra le due culture, tanto più che (è stato sempre Enzensberger a sottolinearlo) la crescente specializzazione e parcellizzazione dei saperi ha ormai prodotto tre, cinque, cento culture con reciproche difficoltà di comprensione. Bisognerebbe, allora, spingersi perfino oltre il concetto di "terza cultura", abbozzato da Snow e poi ripreso da quel gran filibustiere intelligente che è John Brockman, il creatore di Edge. Bisognerebbe tornare alle radici comuni tra i saperi, facendole circolare come sangue nella società, nelle istituzioni, nel sistema educativo e della ricerca.

Perché non è soltanto vero che, insieme, le arti, le humanities e le scienze formano la nostra cultura; è vero anche che esse possiedono una sostanziale unità, sono una cosa sola. C'è una frase straordinaria di Primo Levi, una frase che ho già citato molte volte, ma che riciccio qui perché fa fare sempre bella figura. Diceva, dunque, il grande Levi: «La distinzione tra arte, filosofia, scienza non la conoscevano Empedocle, Dante, Leonardo, Galileo, Cartesio, Goethe, Einstein, né gli anonimi costruttori delle cattedrali gotiche, né Michelangelo; né la conoscono i buoni artigiani di oggi, né i fisici esitanti sull'orlo del conoscibile». Forse è da qui, da queste parole di Primo Levi che bisognerebbe davvero ripartire.

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