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Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio 2011 alle ore 08:14.

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Il compasso e la croce. Una strana alleanza strategica tra massoneria e chiesa cattolica per un ambizioso progetto storico: la conquista spirituale di un intero popolo, finito sotto tutela dopo la prima invasione della sua storia seguita alla sconfitta militare. È il tema dell'ultimo libro di Eiichiro Tokumoto (1945 Nihon Senryo. Il Giappone sotto l'ombra dell'occupazione, edizioni Shinchosha), scrittore e giornalista investigativo che denuncia l'aiuto chiesto alla chiesa cattolica da Douglas MacArthur, massone di rango e metodista, per «riempire il vuoto spirituale» del Giappone post-bellico. Dopo aver sconfitto i giapponesi e averli privati dell'unico dio che conoscevano: l'imperatore, obiettivo del generale americano era plasmare il Paese intorno ai valori occidentali. «Avete un anno per rivolgere la mente dei giapponesi verso la chiesa cattolica: un grande vuoto è stato creato dalla sconfitta», disse MacArthur, preoccupato per il crescente appeal del comunismo, ai vescovi americani John F. O'Hara e Michael Ready, che gli fecero visita nell'estate del 1946. Investito dalla democrazia americana di poteri dittatoriali assoluti, MacArthur – "iniziato" nel 1936 e insignito nel 1947 dentro l'ambasciata Usa di Tokyo del massimo grado (33esimo) di rito scozzese – non poteva che essere indifferente ai contrasti secolari tra Roma, massoneria e democrazia. Anzi, in una lettera ai confratelli parlò degli «immutabili precetti comuni alla cristianità, alla democrazia e alla frammassoneria emersi come la filosofia alla base della politica di occupazione».
Un memorandum della Segreteria di Stato del 1946 recitava: «Il futuro del Giappone non può essere lasciato nelle mani dei protestanti, che hanno già cominciato una capillare e variegata opera di propaganda, né nelle mani dei comunisti che cercano di approfittare del triste stato dell'economia per diffondere le loro perniciose teorie». Scrive Tokumoto: «Pare un linguaggio di marketing di soggetti in concorrenza per penetrare un mercato, sia pure spirituale». Una considerazione non originale: in Marketing Mission, libro su Alessandro Valignano, missionario gesuita in Estremo Oriente del tardo XVI secolo, Vittorio Volpi sostiene che le sue istruzioni su come organizzare «la missione» in Giappone dovrebbero essere sul tavolo di tutti gli imprenditori interessati al mercato nipponico.
Il punto è che il Sol levante, dopo essersi manifestato come la maggiore speranza per la Chiesa, si era rivelato la più cocente delusione. L'iniziatore della missione alla metà del Cinquecento, Francesco Saverio, aveva parlato dei giapponesi come del popolo migliore e più promettente tra quelli trovati in partibus infidelium e il lungimirante approccio del Valignano aveva fatto conseguire lusinghieri successi di apostolato. Ma nel giro di qualche decennio complesse vicende storiche (l'unificazione del Paese, l'ingresso dei protestanti inglesi e olandesi, la fine del monopolio dei gesuiti portoghesi) avevano provocato una delle grandi tragedie della cristianità: il neonato regime shogunale dei Tokugawa bandì la nuova religione dal Paese dei kami, scatenando feroci persecuzioni. Per ulteriore assicurazione, l'arcipelago fu chiuso ermeticamente a tutti gli stranieri. Dopo che le cannoniere del Commodoro americano Perry riaprirono il Paese al mondo a metà Ottocento, l'Europa si commosse alla notizia che alcune comunità cristiane erano sopravvissute per secoli in una pericolosa clandestinità. «Anche nel dopoguerra – rileva Tokumoto – tutti hanno fallito nei progetti di conquista spirituale del Giappone: cattolici, protestanti, massoni. Il materialismo economico può essere una spiegazione, ma non certo la sola».
L'insuccesso a lungo termine del piano non militare di MacArthur ha trovato conferme nei recenti deliri dei predicatori fondamentalisti americani, pronti a definire lo Tsunami dell'11 marzo come una punizione divina per un popolo materialista, consumista, ateo, pagano. Di retribuzione divina ha blaterato (poi scusandosene) lo stesso governatore di Tokyo Shintaro Ishihara, riferendosi alla perdita di valori tradizionali nella melma di una modernità schizofrenica senza più riferimenti. Di "palude" aveva parlato lo scrittore (soffertamente) cattolico Shusaku Endo per definire un Giappone dove gli innesti esterni non possono attecchire con solide radici. Ad ogni modo, è un fatto che la Chiesa cattolica non ha avuto grande successo in Giappone dove i fedeli sono circa mezzo milione di fedeli su una popolazione di 127 milioni. Quanto alla massoneria, nel periodo prebellico vigeva un gentlemen agreement con il governo imperiale:non avrebbe interferito a patto che le logge evitassero di reclutare sudditi giapponesi. Tokumoto racconta come alcuni collaboratori massoni di MacArthur se ne fecero zelanti promotori: il maggiore italoamericano Michael Rivisto, ad esempio, convinse la riluttante Gran Loggia di Manila a mettere da parte i risentimenti e accettare l'iniziazione di giapponesi. Così lo stesso premier Ichiro Hatoyama fu accolto nella fratellanza. Come era successo poco prima della guerra alla Russia del 1904 con l'ambasciatore a Londra Hayashi, l'ingresso nella massoneria di figure rilevanti della politica giapponese appare largamente strumentale: si tratti di assicurarsi la collaborazione di Londra o (nel caso di Hatoyama) di diminuire la sua impopolarità negli Usa e di facilitare un accordo sulle compensazioni belliche con le Filippine. Di rilevante interesse è anche il racconto dell'attenzione manifestata da Hirohito per i rapporti con il Vaticano: già in una lettera del 1939 a Pio XII l'imperatore aveva auspicato un approfondimento dei rapporti, e poco dopo Pearl Harbour espresse al suo esecutivo il desiderio di instaurare relazioni diplomatiche dirette.