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Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio 2011 alle ore 08:17.

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Elia Kazan, all'anagrafe Elias Kazanjoglou, è entrato negli Usa al l'età di quattro mesi con i suoi genitori. Venivano dal l'Anatolia, membri della minoranza greca in Turchia, preceduti da un ardito zio di Elia di cui il regista ha ricostruito la vicenda in un romanzo, introvabile sul nostro mercato anche se tradotto da Mondadori come gli altri due o tre che il regista scrisse quando la sua stella pareva tramontata sia a Hollywood che a Broadway. Si chiamava America America, ed era questo il titolo originale del film che Kazan ne trasse, ribattezzato in Italia Il ribelle dell'Anatolia: un fiasco commerciale dovunque anche se è certamente il capolavoro del regista e uno dei più bei film della storia del cinema, dei più belli, attuali, esemplari.
Chi non lo conosce, farà bene a cercare il film nel mercato dei dvd assieme agli altri di Kazan. Si è avuto modo di rivederlo a Bologna, in piazza Maggiore, due settimane addietro durante le manifestazioni del «Cinema ritrovato» organizzate dalla Cineteca della città, infinitamente più solida e attiva di quella nazionale. America America è un film del 1963 e narra di Stavros, un ragazzo che si ribella agli inizi del Novecento all'autorità paterna e ai suoi cedimenti verso il turco, che cerca la sua fortuna a Costantinopoli, che volta le spalle all'amicizia dei poveri di cui ha diviso per un tempo la sorte, che inganna una ragazza ricca e brutta e i suoi famigliari, che si fa mantenere da una greca tornata in patria da turista con il ricco marito "americano" e riesce a sbarcare infine dall'altra parte del pianeta, inchinandosi a baciare la terra americana a due passi dalla Statua della Libertà. Per arrivare fin lì, egli ha dovuto vendere l'anima, ma il Nuovo Mondo gli promette rigenerazione, una vita libera dalle più dure leggi della necessità, una Vita Nuova.
Parlando di immigrati, Elia Kazan sapeva di cosa parlava, e ha parlato di immigrati irlandesi già nel suo primo e accademico film, Un albero cresce a Brooklyn, dal bel romanzo di Betty Smith un tempo famoso, e ancora della sua famiglia in Il compromesso, un altro capolavoro poco apprezzato, e ha scelto i suoi eroi nei margini dell'America, New Orleans, il Sud del razzismo, il Messico di Viva Zapata, la California, il Tennessee delle riforme rooseveltiane (Fango sulle stelle, che è per molti «il più bel film sull'acqua») e la Hollywood dei tycoons anch'essi di origini oscure, venuti dalla lotta per la sopravvivenza tra due continenti e dai compromessi e dalle astuzie. Dopo mediocri prove di attore, prima di diventare uno dei grandi del cinema hollywoodiano Kazan è stato un grande rinnovatore del teatro di Broadway, come e più dei suoi colleghi del Group Theatre che negli anni Trenta avevano creduto nella rivoluzione sociale e politica alla bolscevica (con Clifford Odets: Svegliati e canta, operaio, ribelle, militante!) e nei Quaranta avevano fondato con l'Actor's Studio la più possente scuola di teatro che ci sia mai stata dopo quella russa di Stanislavskij, che avevano voluto imitare traducendo il "metodo" in americano: la scuola da cui sono venuti Brando e Dean e Clift e Newman, Jo Van Fleet e Julie Harris, Geraldine Page e Rod Steiger, Cobb e Wallach. Hackman e Malden, Eva Marie Saint e perfino Marilyn a suo tempo, e su fino a De Niro... i nomi da Oscar del cinema degli anni Cinquanta-Settanta, l'ultimo cinema americano e occidentale a essere stato un fenomeno sociale collettivo, specchio e scuola del cambiamento culturale, della capacità dell'individuo di capirsi e, di conseguenza, di "leggersi" e narrarsi, di superare la propria passività di spettatore-consumatore nel confronto con attori che avevano appreso da Kazan come «risvegliare le proprie risorse emotive».
L'omaggio a Kazan comportava anche un volume, i suoi Appunti di regia raccolti e curati da Robert Cornfield (Edizioni Cineteca di Bologna, traduzione di Manuela Vittorelli, pagg. 360 con molte illustrazioni). Il volume è vendibile solo affiancato da un dvd che contiene un'intervista entusiasta a Scorsese, che molto ha fatto per la rivalutazione americana di Kazan, e dal materiale visivo sull'amicizia tra Kazan e il regista turco della minoranza curda Ylmaz Guney, variamente perseguitato e molto assistito da Kazan: una strana amicizia, perché Kazan, ex comunista, era molto odiato in America e fuori per aver collaborato con la Commissione McCarthy al tempo della "caccia alle streghe", e Guney, al tempo del l'incontro con Kazan, era in galera quale ostinato rappresentante di un gruppo maoista, accusato di omicidio. (Anche Guney è stato un grande regista, e sarebbe bene che qualche festival se ne ricordasse...).
Regista di testi che trionfarono a Broadway grazie a lui, anzitutto quelli celeberrimi di Tennessee Williams (il Tram... e Arthur Miller, Morte di un commesso viaggiatore) e scopritore e addestratore di star, il teatro americano del dopoguerra gli deve la sua originalità e la sua potenza nell'abbattimento di molti tabu psicologici e sessuali e le due cose insieme, e nella creazione di un immaginario collettivo che venne poi dilatato da Hollywood, principalmente attraverso i suoi stessi film.
La genialità e il perfezionismo delle sue regie sono ampiamente documentate dal volume bolognese, ma è bene rifarsi, per parlare del suo cinema, a uno dei maggiori critici cinematografici francesi, Roger Tailleur, prematuramente scomparso (la sua opera è pubblicata in Italia in due densi volumi dalle edizioni Falsopiano) divideva l'opera di Kazan in tre momenti: quello del Voi, quello del Noi, quello dell'Io. Le prime opere sono di ottima scuola, ma sanno di teatro e di una oggettività da terza persona plurale, ma poi, a partire dai due canti a New Orleans, Bandiera gialla, un'inchiesta poliziesca girata per le strade della città, e Un tram che si chiama Desiderio girato tutto in studio, il regista passa al "noi", racconta ambienti e comunità esemplari con costruzioni azzardate e provocatorie e passa pian piano all'Io, ad assumersi, dopo il "tradimento" del 1952 (vi aveva fatto i nomi alla Commissione di amici che erano stati come lui comunisti) le sue responsabilità in prima persona, a parlare di un sé travasato nell'Altro, di un Altro che diventa Sé.

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