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Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2011 alle ore 10:20.

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Il trio di Keith Jarrett incanta Napoli con la «scienza esatta» del jazzIl trio di Keith Jarrett incanta Napoli con la «scienza esatta» del jazz

Nove brani in scaletta più due bis, per un totale di undici pezzi. Prevalgono le ritmiche swing e be-bop, eppure i due quinti dei brani eseguiti sono ballad. In tutto fanno 95 minuti di musica pescata nel mare magnum del songbook americano.

Per il leggendario Standards Trio di Keith Jarrett l'arte del concerto è una scienza esatta: sarà anche vero che il jazz significa improvvisazione, ma quando sul palco sale il pianista di Allentown - accompagnato dal contrabbassista Gary Peacock e dal batterista Jack Dejohnette - e quando in sala si respira la giusta atmosfera, alla fine i conti devono tornare sempre. Atmosfera superlativa, per esempio, ieri sera al Teatro San Carlo di Napoli, prima tappa del minitour italiano che vedrà di nuovo impegnati i tre jazzisti statunitensi al Teatro Arcimboldi di Milano giovedì 21 luglio. Concerto memorabile, culminato in una standing ovation del pubblico che coinvolge, tra gli altri, il cantautore Lucio Dalla e la discografica Marie Ferré, figlia del grande chansonnier Leo Ferré. Un supremo atto d'amore nei confronti della «musica classica nera», stavolta intesa nella sua accezione più aristocratica.

Jarrett arriva sul palco e volge subito le spalle al pubblico. Indossa una camicia rosso fuoco e la agita come un sipario sulla tastiera nel suo consueto amplesso con il piano. Mette subito le cose in chiaro: è lì per la sua arte, più che per chi lo ascolta. Si mette in moto con «The old country» della buonanima di Nat Adderley, un hard bop avventuroso che gli fa da perfetto biglietto da visita: al piano indovina melodie cantabili, infila le scale una dietro l'altra come se mandasse giù sorsi d'acqua per poi rallentare, quasi esitando, e così lasciare a Peacock il compito dell'improvvisazione. Il fidato contrabbassista se la cava con una manciata di note. Quelle giuste. Il primo solo di Dejohnette arriva invece con la hermaniana «Four brothers», secondo brano in scaletta. Le coordinate musicali sono ancora una volta quelle del più selvaggio dei bop, con Jarrett che non fa sentire la mancanza degli ottoni quando alterna i suoi fraseggi alle rullate del batterista come Bird faceva con Max Roach. Poi arriva l'eterna «Yesterdays» di Billie Holiday, ballad animata da un sofferente solo di piano: qui Jarrett insegue, rantolo dopo rantolo, tutta la sua ispirazione fino ad abbandonarsi sfinito sui tasti. È un poderoso giro di basso walking a fare da spina dorsale a «Bye bye blackbird», standard re-interpretato da innumerevoli artisti tra i quali mastro Miles Davis. Dejohnette suona in controtempo e così esalta i pattern pianistici del band leader che a fine assolo abbandona per un attimo i tasti per detergersi il sudore. La prima parte dello show si chiude con la seconda ballad della serata: si tratta di «The bitter end», un pezzo drammatico nel quale Jarrett lavora di sottrazione, elimina ogni nota superflua dalle sue improvvisazioni fino a creare un'aria così rarefatta da far perdere i sensi: al di là di una carriera leggendaria e dei vezzi da superstar, dev'essere un uomo che soffre parecchio.

Quando lo spettacolo riprende, sembra quasi che al piano sieda il Dave Brubeck di «Blue Rondo a la Turk»: il burbero Keith, per aprire «I'm a fool to want you», altro tributo alla Holiday, s'inventa infatti una ritmica nervosa e la ripete in maniera ossessiva mentre Dejohnette si fa bastare charleston e cassa.

Il fantasma di Nat King Cole si aggira sul San Carlo per «I'm gonna laugh you out of my life», vecchia hit del crooner nero che l'eroe del «Khöln Concert» introduce attraverso un solo intrigante, mentre Peacock si sforza di suonare il meno possibile e Dejohnette fa strada alla melodia a colpi di spazzole. Il pezzo sfuma sull'assolo di Jarrett e il cielo di Napoli assume le stesse tinte di quello della «Casablanca» anni Quaranta raccontata da Michael Curtiz. È di nuovo tempo di be-bop con «Way you look tonight», ottavo brano in scaletta da togliere il fiato a chi lo esegue e a chi lo ascolta (non a caso, al termine dell'esecuzione Jarrett apparirà particolarmente provato). Il secondo set si chiude con «I tought about you», ballad cara al clarino di Benny Goodman qui così lenta da risaltare ancora di più i rapidi virtuosismi pianistici di Jarrett. Quindi i bis: prima l'«Untitled» immortalata nell'album «Concerts» del 2000, poi di nuovo il repertorio di Cole con «When I fall in love».

Il pubblico ne vorrebbe ancora, Jarrett augura buona notte a tutti e toglie il disturbo lasciando interdetti anche Peacock e Dejohnette che forse avrebbero ceduto a un ulteriore bis. Ma si sa: per lo Standards Trio l'arte del concerto è una scienza esatta. Un numero in più e i conti non tornano.

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