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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2011 alle ore 14:27.

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Un trullo della campagna puglieseUn trullo della campagna pugliese

Case per turisti, solo momentaneamente; case per nomadi, solo apparentemente. Non c'è poi troppa differenza tra il nomadismo raccontato da Paul Oliver nel tomo, Encyclopaedia of Vernacular Architecture (disponibile solo in biblioteca) da quello di un trentenne precario che vive in una metropoli, appeso ad uno Smart phone, in subaffitto e sotto scacco per un contratto in scadenza. I fari ancora in attività sono spesso oggetto di concorsi internazionali per affidarne la custodia a chi non ha paura della solitudine. Le risposte a queste chiamate riscuotono un eco mediatico notevole e non si stenta a trovare candidati pronti ad abitare e lavorare in queste strutture com'è successo nei Paesi Bassi per ripopolare gli oltre mille mulini a vento originali, risalgono agli anni Venti. La conservazione di un bene si sposa con la volontà di tornare a vivere secondo ritmi e logiche meno sincopate. Simile destino lo sta vivendo la minka giapponese, un tempo casa popolare, conosciuta in occidente per le pitture di Junkichi e i film di Kurosawa. Oggi sono edifici storici protetti dal Governo e sopravvivono grazie ad attenti conservatori come quelli dei villaggi di Shirakawa-go e Gokayama, ora patrimonio Unesco, con tetti di paglia a forte spiovente nello stile gassho-zukuri, 'costruzione dalla mano che prega'. Diversi i casi di Mongolia e Indonesia dove le architetture del popolo, oggi urbanizzato in condizioni non sempre ottimali, sono diventate occasioni di fuga per turisti in cerca d'emozioni indigene, pronti a rinunciare ai confort di un hotel per intercettare lo spirito del luogo. Dormire in una ger mongola riparo dei pastori della steppa non deve essere così confortevole anche se il rivestimento in legno e feltro di questa tenda simile alla yurt turca pare garantisca protezione e calore durante gli inverni a -30°C. A Bali invece il kuren è simile a un minuscolo villaggio recintato. Le abitazioni sopraelevate su una piattaforma e dotate di grandi tetti in paglia di riso e foglie di cocco sostenuti da pali in legno ricreano un ecosistema autonomo con tempio domestico, padiglione cerimoniale, padiglione degli ospiti, granaio, dormitorio e cucina. Questo sistema primitivo è stato in molti casi trasformato in una suite lussuosa a più ambienti.

Col freddo e col caldo anche il Continente nord americano ha consegnato all'architettura vernacolare esempi ancora longevi per funzionalità e potere romantico. Le tende teepee degli indiani delle pianure, i grandi fienili del Michigan e le cracker house immortalate da Hopper illustrano i depliant. Altra cosa tra il Canada settentrionale e la Groenlandia danese dove vivono circa 150.000 inuit che pur abitando in container o case di nuove generazione continuano a insegnare ai loro figli la costruzione a spirale con pareti curve dell'igloo. I blocchi sovrapposti terminano in un blocco a cuneo che completa la struttura a cupola. Il segreto sta nel coprire di neve fresca la costruzione, strofinandola. I più bravi sono ammessi alla costruzione dei karigi, dal diametro più grande per cerimonie e feste.

John May, Anthony Reid

Architettura senza architetti

Guida alle costruzioni spontanee di tutto il mondo

Rizzoli Milano

pagg. 192

€ 16,00

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