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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2011 alle ore 08:14.

Il paradigma del mondo cambiava; e questo cambiamento lo intravedevo nei conflitti che si moltiplicavano e nella complessa questione che l'islam suscitava nel mondo. Osservavo – e osservo – la crescita esponenziale dei partiti e dei movimenti xenofobi, e nei sondaggi del l'opinione pubblica occidentale l'immagine negativa dell'islam e dei musulmani. Un po' ovunque in Europa si tendeva – e si tende – a privilegiare l'aspetto della sicurezza nella gestione politica dei fenomeni migratori e dei rapporti fra musulmani e popolazioni autoctone.
Si sono moltiplicati gli interventi amministrativo-legislativi sulla questione del velo e del velo integrale (burqa o niqab). Io stesso sono intervenuto sul Sole 24 Ore in favore di un divieto del burqa, ritenendo che lo strumento giuridico possa a volte rappresentare un fattore di emancipazione e persino di innovazione sociale: va ricordato in proposito l'intervento del presidente della Repubblica tunisina Habib Burghiba che promulgò, nel 1956, una legge che vietava il regime matrimoniale poligamico. Ma vedevo sia i musulmani più modernisti sia gli europei smarriti dinanzi alla questione, combattuti tra una visione ideologica del rispetto delle culture altrui e la coesione socioculturale in una società sempre più eterogenea.
Il panorama è oggi sempre più sconcertante, e si passa facilmente da un estremo all'altro: il referendum sulle moschee in Svizzera, la difficoltà che i musulmani incontrano nel l'avere un luogo di culto, la paura del terrorismo, una gioventù musulmana sempre più borderline ed esposta alla manipolazione di cattivi maestri che propagano violenza e odio contro l'Occidente. Si mescolano a tutto ciò la crisi economica, la crisi della costruzione europea, la questione turca (dove inizia e dove finirà l'Europa?), un mondo complesso e difficile in cui una violenza diffusa, anche verbale, tende a costruire nuove barriere, una visione alterata del rapporto fra identità e territorio.
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il libro

È possibile spiegare ai leghisti che stanno fraintendendo l'Islam? Khaled Fouad Allam, sociologo di origine algerina, lo ha fatto con pacatezza, efficacia e con particolare sensibilità politica. Le affermazioni sulle «moschee covi di terroristi» nonché i paventati rischi di colonizzazione dell'Italia colpiscono l'immaginario alla ricerca del consenso (che, nell'immediato, c'è stato), ma producono sentimenti ambigui e pericolosi nel medio periodo. Il pregiudizio non porta più voti elettorali ma genera cultura miope, incapace di cogliere le trasformazioni, di governarle e quindi di poter costruire e convivere con le nuove situazioni. Ma l'incomprensione culturale non appartiene solo alla Lega.
Il saggio di Khaled Fouad Allam si muove su tre piani di lettura: l'esperienza personale intrecciata da ricordi, confronti di vita vissuta e un grande amore per l'Italia; l'analisi dello studioso con una profonda conoscenza della cultura islamica nella quale si è formato ed è cresciuto; la concretezza del cosmopolita e del politico, essendo stato deputato italiano nella XV legislatura. Il libro tocca ogni aspetto dalla libertà religiosa alla figura e ruolo della donna (velo sì/no), dal tema della democrazia al multiculturalismo. Ma aiuta a capire anche il dibattito interno al mondo islamico su modernità e tradizione. Certo, in Occidente molte sono le questioni aperte dal caso-Turchia alle vie per l'integrazione. Fermarsi ai sospetti e alla paura non aiuta. E l'Europa non può morire a Lampedusa.
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Khaled Fouad Allam, L'islam spiegato ai leghisti, Piemme, Milano pagg. 182, € 15,50

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