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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2011 alle ore 10:39.

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L'auto-esperimento fu ripetuto due anni dopo da Andrea Morris, oggi professore all'Università della Pennsylvania, che ci mise due mesi a riprendersi. Nel frattempo un'analisi del Dna aveva classificato il patogeno in una famiglia a sé, l'Helicobacter, della quale si scoprono tuttora nuove specie. Lo scetticismo rimase prevalente negli Stati Uniti e in Australia. In Europa, invece decine di gastroenterologi – come Giovanni Gasbarrini e Dino Vaira all'Università di Bologna – sperimentarono subito la nuova terapia. Marshall riuscì finalmente a «infettare il gerbillo della Mongolia», e a verificare l'efficacia di test diagnostici meno invasivi dell'endoscopia.

Ormai i test sono parecchi, e dove sono diffusi l'incidenza di ulcere e tumori è notevolmente calata. In compenso, «le pubblicazioni scientifiche sono passate da una media annua di 200 negli anni Novanta a oltre 1.500», ha scritto Johannes Kusters della clinica universitaria Erasmus di Amsterdam, sulla «Clinical Microbiology Review».

Infatti «l'Helicobacter è uno dei patogeni di maggior successo nella specie umana, in alcuni Paesi in via di sviluppo infetta l'80% della popolazione, in quelli sviluppati il 40 per cento».

Oltretutto non è l'unico a causare danni nello stomaco, e le ricerche di Barry Marshall hanno consentito di identificare altri patogeni che l'acidità non scoraggia affatto.

Si userebbe di nuovo come cavia? «Me lo chiedono spesso. Se ci fosse una buona domanda scientifica alla quale potrei rispondere solo così, perché no? Ma oggi mi pare più efficace invitare altri a partecipare all'esperimento e osservare il processo dall'esterno».

Se lo volesse fare un giovane del suo laboratorio, proverebbe a dissuaderlo. «Però mi chiedono spesso di arruolarli tra i volontari». E come risponde? «Che è vietato ed è giusto così. È troppo difficile somministrare qualcosa in doppio cieco a colleghi dello stesso laboratorio e rischia di essere un modo per esercitare una pressione indebita sui giovani. Infine quando l'osservatore e l'osservato sono la stessa persona, potrebbe diventare irresistibile la tentazione di modificare i risultati».

Comunque ha rilanciato gli auto-esperimenti, sebbene rifiuti di attribuirsene il merito. Nel 2004, per esempio, in una ferita che si era fatta all'avambraccio, David Pritchard inseriva nematodi di cui saggiare le proprietà immunitarie contro l'asma e la febbre da fieno; l'anno dopo Bart Knols e Ruurd de Jong smettevano di lavarsi i piedi che, in Kenya, esponevano alle zanzare portatrici della malaria per vedere se erano maggiormente attratte da un odore replicabile in apposite trappole.

Avevano ricevuto solo un premio IgNobel «per la scienza che fa prima ridere e poi pensare» quando, nel luglio scorso, la Fondazione Gates ha dato 775mila dollari a Knols e a un collega kenyota per testare ulteriormente la trappola e progettarne una che costi poco.

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