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Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2011 alle ore 19:28.

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Un tempismo incredibile! L'immunologo Alberto Mantovani pubblica un libro sul sistema immunitario, in gran parte dedicato alle novità scientifiche e cliniche più recenti riguardanti soprattutto i meccanismi dell'immunità innata, e la Commissione di Stoccolma assegna il Nobel ad alcuni fondamentali scoperte riguardanti proprio l'immunità innata. Miglior lancio per il libro della collana di divulgazione scientifica "Zenit, orizzonti della scienza italiana", ispirata dal Gruppo 2003 che raccoglie gli scienziati italiani più citati nel mondo, non si poteva pensare. E forse nessun altro in Italia è più titolato di Mantovani, scientificamente, per parlare di immunità innata, cioè per spiegare cos'hanno fatto Steinman, Beutler e Hoffmann per meritare il Nobel. Non perché è lo scienziato italiano più citato, e uno degli immunologi più citati a livello internazionale. Alla quantità, pace Hegel, non sempre corrisponde la qualità! Ma per quello che ha scoperto.

È stato il primo a capire e dimostrare che, contrariamente alle teorie prevalenti, i macrofagi, un tipo di cellula fondamentale della reazione infiammatoria, sono presenti all'interno dei tumori, dove stimolano la crescita e la progressione tumorale. Cercando le molecole che conducono i macrofagi all'interno dei tumori, insieme al suo gruppo ha scoperto, nel 1983, una proteina nota come Monocyte Chemotactic Protein-1/CCL2, un prototipo della grande superfamiglia delle chemochine. Con un'efficace metafora, Mantovani, definisce le chemochine "segnali stradali", e ne descrive la funzione in combinazione con i "semafori", cioè le molecole di adesione, per stabilire "il codice di avviamento postale" che consente l'indirizzamento a giusta destinazione dei linfociti.

Le chemochine, che sono circa novanta e sono codificate da 46 geni nell'uomo, fanno parte di una famiglia molecolare più ampia, le citochine, di cui sono parte anche le interleuchine, dalle quali dipende il coordinamento fisiologico del sistema immunitario. Mantovani è stato tra i protagonisti delle ricerche sperimentali che hanno caratterizzato anche questa famiglia di "parole molecolari" (citochine) usate dal sistema immunitario per comunicare. A tutt'oggi si conoscono 36 interleuchine, e Mantovani ha contribuito a stabilire la funzione dell'interleuchina-6 nella transizione dalla fase acuta a quella cronica dell'infiammazione.

Studiando la regolazione delle citochine, Mantovani e il suo gruppo hanno identificato e spiegato il principio di funzionamento del recettore decoy (tronco) per l'interleuchina-1. Si tratta di un recettore che si lega alla proteina-messaggero senza però trasdurre il segnale, e inibendone, in questa maniera, l'azione. «Una sorta di "specchietto per le allodole" che intrappola la molecola che gli si avvicina», scrive Mantovani. Il concetto di recettore decoy si è rivelato una strategia generale per regolare la funzione delle citochine infiammatorie, con importanti ricadute applicative. Nel senso che oggi si è in grado, utilizzando le tecnologie dell'ingegneria genetica, di modificare i recettori, trasformandoli in decoy, e in questo modo bloccare l'azione di citochine che scatenano l'infiammazione. Un'altra scoperta importante Mantovani la fa nel 1997, identificando il primo membro della famiglia della pentrassine lunghe, PTX3. Si tratta di una molecola oggetto di studio come marcatore diagnostico di malattie cardiovascolari e infiammatorie.

Il libro di Mantovani racconta abbastanza in dettaglio che cosa hanno fatto i vincitori dei Nobel, assegnati lunedì scorso. Premiando un'altra volta l'immunologia, è la quattordicesima dal 1901, la Commissione di Stoccolma ha riconosciuto il valore di fondamentali sviluppi scientifici nel campo di quella che è definita immunità innata. Le risposte immunitarie sono schematicamente suddivise in due rami. Quelle innate o aspecifiche, che sono quelle evolutivamente più antiche e sono dirette in modo generalizzato e non mirato contro delle caratteristiche comuni ai microbi. E quelle adattative o specifiche, che invece sono mirate contro un particolare agente patogeno. Le risposte specifiche, per esemplificare, sono quelle istruite dai vaccini e che usano anche gli anticorpi. L'immunità innata non ha mai richiamato grande interesse, fino a quando non si è scoperto che senza le cellule e le molecole dell'immunità innata non ci potrebbe essere nemmeno quella specifica. Steinman, per esempio, ha dimostrato nel 1973 che le cellule dendritiche (già note come cellule di Langerhans) sono essenziali per presentare gli antigeni dei microrganismi ai linfociti dell'immunità adattativa, che così li possono riconoscere come estranei e attivare una risposta immunitaria cellulare o anticorpale. Le ricerche di Beutler e di Hoffmann hanno dimostrato che una famiglia di molecole altamente conservate dall'evoluzione, e scoperte nel moscerino Drosophila, sono la chiave dell'immunità innata, e che sono essenziali anche per far partire l'immunità adattativa. Si tratta dei recettori tipo Toll (Toll like receptors), il cui nome in tedesco significa «stupefacente», e che hanno la funzione di riconoscere la presenza di microbi e di attivare quindi le cellule dendritiche – sentinelle dell'immunità le chiama Mantovani – le quali a loro volta mettono in movimento i linfociti dell'immunità specifica. Così dando il via a una risposta più mirata, e quindi anche meno dannosa per i tessuti dell'organismo stesso.

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