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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2011 alle ore 15:41.

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Noi celebriamo oggi il cinquantesimo anniversario della scomparsa di Luigi Einaudi, figlio illustre di questa terra, che per lui non fu soltanto luogo e storia degli affetti ma anche luogo e storia dei suoi valori morali e intellettuali.

Nella terra di Langa Einaudi è ancora figura viva per l'esempio di rettitudine e di moralità che egli diede, e per come seppe riconoscere ed esaltare i valori dell'ordinato vivere civile nel quale eccellono da sempre le vostre comunità.

Egli fu uno dei maggiori economisti dell'Italia unita, ed economista rimase sempre nella sua attività di alta amministrazione e di statista, sino alla suprema magistratura della Repubblica nel cui esercizio, come Ella ha recentemente scritto, Signor Presidente, "Einaudi pose le basi per l'affermarsi del ruolo e del prestigio del Presidente della Repubblica".
Einaudi si formò nella Torino degli anni Novanta dell'Ottocento, nella quale vivissima era ancora l'eredità intellettuale degli economisti del Risorgimento come Francesco Ferrara, patriota siciliano, federalista, maestro di Camillo Benso di Cavour, i quali consideravano l'economia politica come "la scienza dell'amor patrio".

La scienza economica rispecchia la tendenza naturale dell'uomo all'autointeresse ed esprime le leggi oggettive che governano la produzione e lo scambio. Ma per Einaudi autointeresse e necessità nomica andavano sempre visti in connessione con l'elemento morale, che pone l'individuo e le sue facoltà come fine del sistema economico.

Per Einaudi non riusciremmo a spiegare neppure gli stessi fenomeni economici qualora non considerassimo le credenze morali degli individui, le loro aspirazioni ed il loro rispetto di valori che trascendono la ricchezza ed il benessere materiale. Piero Gobetti sintetizzò mirabilmente la visione di Einaudi, definendola "scienza economica subordinata alla morale".
Il mercato ha bisogno di istituzioni, di norme di comportamento, il cui orizzonte funzionale e temporale oltrepassa i singoli interessi individuali. Di qui il ruolo che egli attribuiva allo Stato, pur nella forte sua adesione ai principi liberisti per i quali lo Stato medesimo rappresentava una perenne fonte di pericoli.

Questi pericoli Einaudi li evocò chiaramente nel 1899 - aveva appena 25 anni -, nel delineare il programma di un partito liberale: "In Italia lo Stato è uno dei più efficaci strumenti per comprimere lo slancio della iniziativa individuale sotto il peso di imposte irrazionali e vessatorie e per divergere gli scarsi capitali delle industrie che sarebbero naturalmente feconde, per avviarli alle industrie che diventano produttive grazie soltanto ai premi, ai dazi protettivi, alle estorsioni esercitate in guise svariate a danno dei contribuenti".

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