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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2011 alle ore 18:00.

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Isabelle Huppert (LaPresse)Isabelle Huppert (LaPresse)

«Non mi considero un'artista. Sono un'attrice, punto e basta». Tanto per cambiare, Isabelle Huppert apre la conversazione con la stampa con una dichiarazione lapidaria e controcorrente. Lei è così, spigolosa e sicura di sé, sempre pronta a spiazzare i suoi interlocutori. È arrivata al Festival del film di Roma per presentare fuori concorso la sua ultima commedia, Mon pire cauchemar (Il mio peggiore incubo) di Anne Fontaine, dove appare nei panni di una curatrice d'arte altoborghese radical chic che deve interagire con il padre del miglior amico del figlio, manovale rozzo e politicamente scorretto interpretato dall'attore belga Benoit Poelvoorde. Da questa strana coppia nascono infinite situazioni comiche ed entrambi gli attori fanno leva sulla loro immagine pubblica: l'algida primadonna lei, il simpatico cialtrone lui. «La regista ci ha scelto proprio per il contrasto che esiste nella percezione che il pubblico ha di noi».

In effetti è strano vederla in un ruolo comico.
Io non penso in termini di ruoli comici o tragici, distinguo solo tra personaggi veri e falsi. La commedia secondo me è un modo anche migliore della tragedia di arrivare alla verità, perché è più vicina alla quotidianità della gente. I personaggi drammatici sono spesso innaturali: nella vita di tutti i giorni invece ci sforziamo tutti di essere, o almeno di apparire, più leggeri, non più melodrammatici.

È stato liberatorio buttarsi a capofitto nella commedia?
Non ho bisogno di girare un film per liberarmi e non ho mai pensato a un mio film come ad un peso. Magari lo è stato per gli spettatori, ma non per me.

Nel film il mondo dell'arte contemporanea viene descritto come ridicolo.
È un ambiente elitario che pratica una sorta di razzismo economico. Ma è anche l'ambiente che fa avvicinare i due protagonisti del film, luogo di una possibile utopia che li unisce, perché il rozzo Patrick ad un certo punto si esprime in un gesto artistico inconsapevole, dimostrandosi capace di poesia. Il che è anche un modo per dire che ognuno di noi può esprimersi artisticamente, indipendentemente dal suo background economico e culturale.

Quand'è che i due cominciano ad innamorarsi?
Quando lui la fa ridere. C'è qualcosa di implicitamente erotico in una risata.

Agathe, il suo personaggio, sembra una maniaca del controllo.
È più maniacale che controllata, come lo sono molti registi che si attaccano a ogni dettaglio quando sono preoccupati e sentono la situazione sfuggirgli dalle mani. In realtà ha potere e autorità, ma non vede l'ora di perderlo, il controllo.

Lei ha lavorato spesso con registe, ad esempio Claire Denis, Ursula Meier e ora Anne Fontaine. Ci sono differenze nel modo di dirigere delle donne?
È una domanda difficile. Se rispondo che non ce ne sono, le femministe si arrabbiano, se dico che ce ne sono rischio di marginalizzare quelle poche donne che stanno dietro la macchina da presa. Preferisco non parlare in termini di uomini e donne ma di registi bravi o meno bravi.

Che rapporto ha con l'Italia?
L'Italia è il Paese che ha nutrito l'immaginario di tutti noi attori, sia attraverso il cinema che nella realtà. Lo percepiamo come un Paese culturalmente forte.

Niente sorrisetti di codiscendenza alla Sarkozy?
Be', vediamo anche noi che da voi non sono tutte rose e fiori, ma confidiamo che la vostra grande cultura passata vi farà avere la meglio sul presente.

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