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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2011 alle ore 08:13.

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«Beh, una spinta alla specializzazione precoce si sente, nelle università pubbliche. Vittorio è fortunato, studia in un piccolo Liberal Art College, dove prevale l'idea che se l'università ti insegna a ragionare bene, poi a specializzarsi si farà presto».
Come da noi, la partita assume anche inaspettate valenze politiche: «All'Università della Florida a Gainesville gli storici hanno fatto un corso su Cuba. "Bene", gli hanno detto quelli del Board, "e noi vi tagliamo i fondi alla facoltà di Veterinaria". Immaginati i veterinari, come sono contenti». Me li immagino, sì.
Ma in questa lotta, a quanto pare planetaria, per la sopravvivenza, come si decide quale dipartimento debba assumere gente nuova, cioè svilupparsi, e quale no, cioè invecchiare e morire?
«La base di tutto è la valutazione: quanto vengono citati i vostri articoli, ci chiedono, e dove vanno a fare il dottorato i vostri studenti?»
Mi sembrano criteri sensati. «Quanti soldi portate a casa non ve lo chiedono?», insinuo.
«Anche. Ma soprattutto nelle facoltà scientifiche. Qui da noi…», Ottanelli fa un gesto come se intorno a lui ci fossero solo macerie. Invece ha un bello studio, pieno di libri e anche di manifesti a me noti, segno che un po' di nostalgia del l'Italia della sua giovinezza gli è rimasta. «Comunque», conclude, «stiamo sempre a discutere di criteri di valutazione». Mezzo gaudio, penso io.
«In Italia da adesso in poi i ricercatori saranno tutti precari e meno di uno su dieci diventerà ordinario. Ci state pensando anche voi?»
«Indubbiamente c'è una spinta a ridurre il personale fisso, a reclutare gente con incarichi di insegnamento a tempo. Ma una volta che sei entrato nel corpo docente, fare carriera dipende solo da te. Se lavori bene, entro sei anni hai il posto a vita, e dopo altri cinque o sei diventi professore ordinario. Questa carriera interna non è messa in discussione, e ci mancherebbe…».
Riassumendo: sono tempi duri ovunque. In Florida si sa che un buon sistema universitario richiede molte risorse pubbliche, e le reperiscono tramite imposte indirette. Investitori privati contribuiscono a finanziare l'università e sono in maggioranza negli organi di governo universitario, ma finora questo non ha portato a privilegiare i settori tecnologici a scapito di quelli umanistici o scientifici.
Si valuta attentamente come distribuire i fondi e si offrono ai giovani prospettive ragionevoli di carriera.
Dimenticavo: la separazione fra Stato e Chiesa è, come si sa, rigida, e le università private si finanziano da sole. Invece, in Italia istituzioni scolastiche e universitarie private ricevono fondi pubblici, nonostante questi siano stati ridotti al di là di ogni logica, e oggi i privati possono entrare nei consigli di amministrazione senza sborsare una lira.
La valutazione è discontinua e problematica, non si rimpiazza chi va in pensione. Si rende precario il primo livello della docenza e difficilissime le promozioni, ottenendo in un sol colpo di demotivare migliaia di ricercatori e professori associati, e di concentrare il potere nelle mani dei cattedratici, che saranno sempre meno e dunque sempre più potenti.
Non si scappa, sono strategie opposte: se ha ragione chi investe ha torto marcio chi disinveste, e viceversa. E allora, domandina semplice per concludere: secondo voi chi sta facendo una sciocchezza, lo stato della Florida o il nostro paese?
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il dibattito sui nuovi saperi Il dibattito sui nuovi saperi è stato lanciato su queste pagine con gli articoli di Claudio Giunta (sulle facoltà umanistiche) e Andrea Graziosi (sulla valutazione). Ai due primi interventi sono seguiti quelli di Roberto Casati, Vittorio Marchis e, online, di Alberto Baccini. La ridefinizione di saperi, metodi e insegnamenti più adatti ai nostri tempi che tengano conto dei ritardi del nostro paese e delle sue necessità sarà uno dei nostri temi. Tutti gli articoli su www.ilsole24ore.com/domenica