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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2011 alle ore 08:15.

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Che cos'è la moneta? Si chiede Giorgio Ruffolo in Testa e Croce, una sua recentissima «breve storia» pubblicata nei Passaggi Einaudi. La risposta giunge alla fine di un acrobatico excursus che abbraccia migliaia di anni e attraversa molteplici mondi disciplinari, dall'economia, alla storia, alla filosofia, alla psicoanalisi, alla scienza della politica. È una risposta semplice e severa: la moneta è stata una geniale invenzione degli uomini, utile a rafforzare la loro capacità di trasformare la natura purché ne restasse mero strumento; ma è degenerata col passare dei secoli, fino a trasformarsi in un fine in sé, con massima evidenza nel moderno capitalismo.
Il libro è svelto, a tratti affascinante. Le molte pagine dedicate a ripercorrere la storia delle economie occidentali dal medioevo a oggi sono assai godibili, per la brillantezza e il gusto letterario della scrittura. Le tesi che innervano il libro riecheggiano naturalmente le esperienze politiche e i riferimenti culturali del suo autore, attivo negli anni Sessanta e Settanta nel campo di un socialismo riformista e programmatorio volto alla graduale riduzione delle disuguaglianze, sociali e territoriali. Un approccio che contrastava con il massimalismo allora diffuso nella sinistra italiana, sebbene oggi possa apparire esso stesso inscritto in una visione un po' old fashioned della società e della politica economica.
Il libro di Ruffolo è una lettura utile per tornare a riflettere sul concetto di moneta, di denaro. Si tratta di un concetto difficile da afferrare se appena si scava sotto la superficie dell'esperienza quotidiana. La moneta, come lo stesso Ruffolo ricorda, svolge tante funzioni, tutte essenziali alla vita: misura il valore che noi attribuiamo alle cose, talvolta anche alle emozioni e ai sentimenti; ci consente di scambiare istantaneamente ciò che abbiamo (il nostro lavoro, ad esempio) con ciò che desideriamo, senza dover intraprendere complicatissime triangolazioni, inevitabili in un regime di baratto; ci consente di conservare nel tempo la capacità di avere in futuro ciò di cui sentiremo bisogno, ma che oggi non sappiamo o vogliamo identificare. Quest'ultima funzione è densa d'implicazioni anche filosofiche: agli albori della storia i nascenti segni monetari concorsero a insegnare all'uomo come pensare il divenire del tempo, sollevandoli dall'immanenza del soddisfacimento vorace di bisogni e desideri. Una moneta è anche simbolo: di potere (il volto del sovrano sulle monete metalliche del passato), d'identità nazionale. Nella sua incarnazione più recente – di strumento fiduciario svincolato da ogni aggancio a beni reali – la moneta rappresenta la forma più diffusa e riconoscibile di quella sostanza immateriale senza la quale una ordinata e prospera convivenza civile è impossibile: la fiducia.
Le riflessioni indotte dal libro di Giorgio Ruffolo offrono il destro per guardare, con il distacco della prospettiva storica, alle vicende dell'ultima nata fra le grandi monete del mondo, l'euro, su cui il libro invece non si sofferma.
L'euro ha impresso alla storia monetaria del genere umano un balzo in avanti, per vie poco esplorate: stendere la coperta di una moneta unica su un vasto territorio abitato da popoli, strutture statali, sistemi politici, linee politiche, ordinamenti diversi è un esercizio che ha pochi e poco significativi precedenti. In questo senso l'euro, ancor più di qualunque altra moneta del presente e del passato, sfugge a trattazioni semplici.
I padri fondatori dell'odierna comunità europea, all'indomani del secondo conflitto mondiale, compresero presto che la loro idea di unificazione dell'Europa, intrinsecamente politica, poteva più facilmente farsi strada se sorretta da gambe economiche, se spinta dal bisogno di ridare benessere materiale a popoli martoriati dalla guerra. L'allargamento allo spazio europeo di mercati nazionali a lungo protezionistici compì il miracolo di dare un impulso potente alla crescita economica. In Italia, lo abbiamo proprio chiamato "miracolo".
Nacque allora l'ambizione di dare al nuovo mercato comune una moneta unica, non solo come dispositivo tecnico ma anche come simbolo identitario, dunque politico.
Dopo alcuni tentativi abortiti, negli anni Novanta il progetto fu portato a compimento. Si concepirono: un'istituzione federale nuova, la banca centrale europea; una politica monetaria unificata (teoria, regole, prassi); un quadro logico di coerenza e coordinamento con le altre politiche economiche, che restavano nazionali. Ma bisognò anche adeguare le strutture operative del sistema dei pagamenti, cioè di quell'apparato tecnologico e giuridico che consente di comprare e vendere, pagare e incassare, nel mercato sotto casa, su un sito online, dovunque. Banconote, conti correnti, carte di credito e di debito, bancomat, bonifici, regole e documenti contabili: una sovrastruttura colossale. Per adattarla all'avvento dell'euro occorsero anni di preparazione, durante i quali le aspettative dei risparmiatori furono virtuosamente orientate alla stabilità.
Detto per inciso, se qualcuno si facesse venire in mente l'idea di smontare l'euro per ripristinare le vecchie monete nazionali, dovrebbe solo pensare a quanto tempo occorrerebbe per riadattare tecnicamente il sistema dei pagamenti: durante quel tempo si avvierebbe un circolo vizioso di panico e fuga verso le attività ritenute sicure, che paralizzerebbe i circuiti finanziari e l'attività economica, con potenziali conseguenze sulla tenuta stessa delle nostre società democratiche.

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