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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2011 alle ore 19:07.

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Leonardo Sciascia (Alinari)Leonardo Sciascia (Alinari)

Ma soprattutto sono da registrare due soluzioni che meglio proiettano il romanzo nell'orizzonte di un novecentismo maturo: lo schema giallistico e il montaggio di derivazione cinematografica. Grazie al primo accorgimento, Il giorno della civetta dà luogo a una trama ben connessa quantunque priva di suspense: essenzialmente regolata sull'alternanza dinamica tra descrizioni paesistico-psicologiche e interrogatori. A merito del secondo, nella sua speditezza incrociata, va la più coraggiosa e pionieristica denuncia della collusione tra mafia e politica, tra capi bastone e referenti parlamentari. Ne esce a conti fatti un'opera letteratissima, composita, eppure pamphlettistica, se non apertamente didascalica.

Vagliando a scopi redazionali Il giorno della civetta, Calvino aveva coniato la formula forse più felice: «racconto documentario». E lo stesso Sciascia, nelle corrispondenze con gli editori, nelle interviste, si mostrava perfettamente conscio del lavoro compiuto: «esemplificazione narrativa», diceva, addirittura «essemplo», ricorrendo per parte laica alle attitudini predicatorie di Bernardino da Siena. La mafia antica, di origine rurale, stava per approdare alle città, ai centri del potere democratico, e occorreva darne un riflesso romanzesco quanto mai aggiornato. Era il tempo, per lo scrittore di Racalmuto, in cui la realtà faceva da base inoppugnabile a qualunque letteratura; poi i rapporti di precedenza e di supremazia veridica si sarebbero lentamente invertiti.

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