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Questo articolo è stato pubblicato il 23 novembre 2011 alle ore 16:42.

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Andrea Vitali (LaPresse)Andrea Vitali (LaPresse)

La prossima domenica per la serie «Racconti d'autore», con Il Sole 24 Ore uscirà Parola di cadavere di Andrea Vitali. Anticipiamo qui le prime pagine

La mattina del 1° ottobre 1960, insieme con i miei compagni promossi dalla terza alla quarta elementare, mi alzai di scatto all'ingresso in aula del nuovo maestro. Indossavo come tutti la casacca nera, lustra e fresca di stiro. In un silenzio perfetto il maestro si presentò: «Sono il maestro Agostino Mirabile».

Poi tacque, guardandoci uno a uno e dando modo anche a noi di guardarlo bene. Alto, magro, con un singolare riporto di capelli: più avanti, durante la stagione calda, per salvaguardarlo ci avrebbe impedito di aprire le finestre, al fine di non creare correnti d'aria.
Terminata l'ispezione della truppa, afferrò una bacchetta di bambù che stava appoggiata al muro accanto alla lavagna, la puntò verso uno di noi, seduto in un banco dell'ultima fila, e gli ordinò di uscire e mettersi di lato alla cattedra.

Parlava con voce nasale. Ci disse di guardarlo bene, perché quello era «un bocciato». Lo guardammo, lo guardai. Non so gli altri, ma io rimasi sconvolto. Il bocciato teneva gli occhi bassi. Pallido, come se l'estate appena passata fosse stata per lui una stagione di totale eclissi di sole. E magro, come se oltre al buio l'avessero condannato a una dieta di pane e acqua.
Non emise parola, il maestro non gli chiese alcunché. All'ordine del Mirabile, tornò al posto, ultima fila, senza compagno di banco.
Fu il mio primo incontro con il Cadavere. Al momento non sapevo ancora che lo chiamassero così, anziché usare il nome di battesimo. Lo appresi poco più tardi, al termine di quel primo giorno di scuola, nella confusione dell'uscita.

Per tutta la mattina infatti non avevo fatto altro che pensare al bocciato, a cosa mi sarebbe accaduto nel caso fossi incappato in un'analoga disgrazia. Volevo imprimermi bene nella mente la sua desolata figura. Repressi la tentazione di girarmi per guardarmelo bene: se il maestro Mirabile mi avesse beccato mentre ero distratto, ne ero certo, avrebbe segnato un punto a favore sulla strada della mia bocciatura.
Così alla fine della mattina mi tenni in disparte e lasciai che uscisse davanti a me per studiarlo in ogni particolare. Mi misi proprio dietro di lui e mi confusi con il blocco dei suoi ex compagni, adesso quintini, che vedendolo lo salutarono così: «Ciao, Cadavere!».
Ebbi un ulteriore moto di sgomento, e mi venne un dubbio: forse, pensai, il destino di un bocciato non era solo quello di subire la gogna dell'esibizione pubblica, ma anche quello di non venir più chiamato con il suo vero nome dai vecchi compagni di classe, come se per loro fosse davvero morto: un cadavere, appunto.

Continuai a osservarlo. Reagiva a quel saluto con una voce fonda, già quasi adulta, priva di allegria. Tanto che a un certo punto, quando il cortile della scuola cominciò a svuotarsi, mi venne il sospetto che quello con cui lo chiamavano fosse il suo vero cognome. Non poteva essere, invece. Lo compresi poco dopo. Un suo cognome, normale, l'aveva. Lo gridò, dalla soglia del palazzo scolastico, il bidello Ercole Arconati quando, scorgendolo in mezzo agli altri, tentò di richiamarlo indietro. Lui non se ne diede per inteso, obbligando l'Arconati, che aveva un bel ventre, a rincorrerlo e poi a fermarlo, per dirgli di riferire a suo padre che quella cosa che gli aveva chiesto ormai gli serviva, e con una certa urgenza.

«Va bene», rispose lui riprendendo la marcia verso casa. Sparì, infilandosi nella penombra di una contrada. Per qualche giorno il mistero di quel soprannome continuò a incuriosirmi ma poi, quando compresi che con il maestro Mirabile c'era poco da scherzare, non ci pensai più.
Alla fine dell'anno venni promosso, e con me tutta la classe, Cadavere compreso. Facemmo insieme anche la quinta elementare, poi le nostre strade si divisero.

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