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Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2011 alle ore 16:05.

Chiudeva (provvisoriamente) la discussione, sempre sullo stesso Bollettino AIB. Giovanni Solimine, biblioteconomo e direi filosofo della biblioteca, ritornando sullo "specifico bibliotecario" e richiamando l'esempio del barbiere, già adottato da Agnoli e Sinibaldi (fonte Ray Oldenburg), cioè della bottega dove si va per tagliarsi i capelli ma anche, certo, per conoscere la vita del quartiere, fare pettegolezzi; però «i barbieri hanno un loro ":specifico": senza forbici e rasoio chi andrebbe dal Barbiere?». E più avanti, «se la biblioteca è "poco biblioteca" e "molto pub" per quale motivo i giovani dovrebbero venire da noi e non andare in un pub vero?». Concludeva poi con un riferimento agli "Idea stores" cioè quelle biblioteche polivalenti di cui il quartiere londinese di Tower Hamlets offre un ottimo esempio, ricordando che lì «c'è innanzi tutto una biblioteca coi fiocchi (per dimensioni e qualità), e poi anche tutto il resto».

Mi immagino, ma forse mi sbaglio, la risposta della Agnoli: con la rete non c'è più bisogno di biblioteche, ossia di luoghi che raccolgano, organizzino, diffondano, studino, discutano, testimonianze di cultura: vedo infatti annunciata una sua conferenza a Campobasso dal titolo Le piazze del sapere: con o senza libri.
La pulsione apparentemente radicale della Agnoli è messa in evidenza proprio nel suo intervento su Domenica del Sole sopra richiamato: sotto il titolo Homeless in biblioteca, l'autrice esordisce evocando il caso della biblioteca comunale di San Diego (California) dove alla chiusura si assiste alla fuoriuscita degli homeless, esempio di come «la biblioteca è diventata un'ancora di salvezza» non solo per la fornitura di tradizionali servizi bibliotecari, di tipo culturale e informativo.
Si conclude, lapidariamente che le «biblioteche non hanno un futuro se non sociale e devono ormai essere viste come parte di un moderno sistema di welfare».

Dire che una biblioteca è un servizio sociale mi pare da una parte una ovvietà, dall'altra una mistificazione in cui non si fa più distinzione tra conoscenza e carità, tra una biblioteca che raccoglie la storia e la tramanda e un'altra che svolge l'utile compito di prestare libri, digitali e non, in vista della loro lettura, magari in un luogo che, proprio perché pubblico, dovrebbe garantire quelle condizioni di tranquillità che rendono possibile la lettura, spesso difficoltosa tra le mura domestiche.
Invece mi viene in mente il racconto di David Lankes, professore nella Università di Syracuse, che riprendo sempre dalle stesse pagine on line del Sole: «in Kenya stanno costruendo biblioteche pubbliche in tutto il Paese, nelle aree rurali come nelle città. Dove le comunità sono troppo distanti perché vengano eretti degli edifici, hanno costruito carri per i libri – 5000 libri in un carretto di legno trainato da asini. In aree ancora più remote nel nord del paese, vengono caricate sul dorso dei cammelli casse e tende. Nei villaggi, i carri vengono aperti, e vengono montate le tende per consentire ai bambini e ai genitori di venire a studiare». Dunque studio, lettura secondo una prospettiva in cui il bibliotecario, oltre ad essere un catalogatore, è un uomo che ha rapporto con la comunità in vista della sua tutela; attraverso la conoscenza, come le donne di Alessandria d'Egitto che formano una catena umana per difendere la rinata mitica biblioteca dai predatori confusi tra la folla della piazza in rivolta nello scorso gennaio.

I bibliotecari, come dice Stefano Parise, una volta che tutto sarà in Internet, «quando la biblioteca di Babele sarà interamente digitalizzata […] possono diventare i cartografi dell'era dell'informazione in rete» dopo essere stati gli umanisti / amanuensi digitali.
In definitiva, in tanti modi si può dire la biblioteca, e fra questi, credo, quello di essere un luogo di studio e conoscenza, non l'unico, ma si spera, il più libero. E poi, siamo in Italia, dove la memoria è conservata in tante istituzioni ricche di storia e bellezza: non mi pare un particolare insignificante.

Marcello Di Bella dirige Biblioteca e Musei Oliveriani di Pesaro

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