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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2011 alle ore 15:34.

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Ermafrodito - particolare. Prima metà del II secolo d.C. circa. Restaurato da Gian Lorenzo Bernini e David Lariquemarmo lunense - Marmo - lunghezza 169 cm; larghezza 89 cm. Paris, Musée du Louvre, Département des Antiquités grecques, étrusques et romaines. © 2011 Musée du Louvre / Thierry OllivierErmafrodito - particolare. Prima metà del II secolo d.C. circa. Restaurato da Gian Lorenzo Bernini e David Lariquemarmo lunense - Marmo - lunghezza 169 cm; larghezza 89 cm. Paris, Musée du Louvre, Département des Antiquités grecques, étrusques et romaines. © 2011 Musée du Louvre / Thierry Ollivier

A conti fatti, secondo Ennio Quirino Visconti il prezzo di mercato dell'intera collezione Borghese si aggirava attorno ai 3milioni e 900mila franchi. Ma come fece l'antiquario romano a valutare le sculture senza averle sotto gli occhi? Semplicissimo: Visconti aveva quelle statue letteralmente stampate nella testa perché, dopo i lavori di riassetto della Villa Borghese nel 1782, il principe Marcantonio aveva assegnato proprio a lui il compito di redigere il catalogo dei «Monumenti scelti borghesiani». Nessuno al mondo, dunque, conosceva meglio i marmi Borghese di Ennio Quirino Visconti.

Una volta stimata la collezione a 3milioni e 900mila franchi, Visconti prese carta e penna diede a Vivant Denon un suggerimento sorprendente: il prezzo dei marmi doveva essere aumentato almeno di un terzo della stima. In altre parole, la collezione Borghese andava acquistata a non meno di 5milioni di franchi. L'improvvisa lievitazione del prezzo parrebbe di primo acchito un'autentica truffa ai danni dello Stato, visto che l'acquirente Napoleone avrebbe largamente foraggiato un suo parente strettissimo, il cognato Camillo. Il Visconti giustificò invece così la lievitazione: considerata la personalità del compratore, sarebbe stato molto auspicabile un plateale atto di generosità, anche per rimuovere le perplessità che Camillo aveva espresso riguardo alla vendita. Qualcuno ha sospettato che Camillo Borghese, trovatosi costretto a cedere i marmi al suo onnipotente cognato, abbia fatto in modo di far lievitare il prezzo tergiversando, e soprattutto facendo credere di avere aperta una trattativa parallela con gli inglesi per la cessione della collezione. Vero o non vero, l'epilogo di questo "soffiare sul prezzo" fu a dir poco clamoroso. Pur di aggiudicarsi le statue, Napoleone (caldamente consigliato da Denon) si disse disposto a pagare la collezione ben 13 milioni di franchi! A questo punto, Camillo si "arrese", la trattativa venne chiusa e nel 1807 si stilò il decreto d'acquisto. Il principe Borghese avrebbe ricevuto la mirabolante somma pattuita sotto forma di contanti a rate e di proprietà terriere (come il feudo di Lucedio nel Vercellese). In realtà, alla fine della vicenda, Camillo si dovette accontentare di "soli" 8 milioni di franchi perché il divorzio da Paolina e l'avvento della Restaurazione interruppero il flusso dei pagamenti.

Le statue Borghese, estirpate dai muri, tolte dai piedestalli e rimosse dalle nicchie, vennero imballate e spedite a Parigi. Avrebbero dovuto viaggiare via mare, ma le navi inglesi presenti nel Tirreno sconsigliarono questa modalità di trasporto. A partire dal 1808 e fino al 1811 vennero organizzati i convogli che, via terra, scavalcarono faticosamente le Alpi e portarono i marmi a destinazione. Questi viaggi costarono al governo francese una vera fortuna: la bellezza di 800mila franchi!

.Quando Canova vide quei capolavori a Parigi nel 1810, ebbe il coraggio di esprimere personalmente a Napoleone il suo più vivo disappunto: «Gran orrore Maestà! Vendere capi d'opera di quella sorta! Quella famiglia sarà disonora finché vi sarà storia!». Povero Canova, speriamo che lassù qualcuno gli dica che, almeno per quattro mesi, i Marmi Borghese sono tornati a casa.

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