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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2011 alle ore 08:16.

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Ho recentemente avuto il piacere d'incontrare Roger Penrose, il grande matematico di Oxford, di passaggio in Italia per il Festival della Scienza di Genova. Penrose è un intellettuale poliedrico. I lettori italiani lo conoscono per diversi libri, tra cui il denso e bellissimo La strada che porta alla realtà (ripubblicato ora da Rizzoli nella collana Grandi Saggi) grande panoramica sulla fisica e la matematica di oggi, testo di divulgazione non di facilissima lettura, ma che brilla d'intelligenza e profondità a ogni pagina.
Tra i contributi di Penrose alla nostra conoscenza dell'universo vi sono i teoremi che mostrano che la teoria di Einstein implica che l'universo che vediamo sia nato da un Big Bang. Ma la curiosità ha portato Penrose in campi imprevedibili: per esempio è stato invitato dal Parlamento europeo a illustrare un nuovo metodo di votazione per istituzioni come l'Unione europea o le Nazioni Unite, formate da Stati piccoli e Stati grandi. Se i voti di ciascun Paese contano eguale, un abitante di Malta ha un peso sulle decisioni comuni immensamente superiore a un cittadino tedesco; ma se il voto di ogni Paese contasse proporzionalmente al numero di abitanti, i cittadini dei Paesi piccoli non avrebbero alcun peso, perché la decisione sarebbe sempre quella delle maggioranze dei Paesi popolati. Esiste una regola ideale di votazione democratica in questa situazione? Penrose ha dimostrato matematicamente che se il voto di ogni Paese contasse proporzionalmente alla radice quadrata del numero di abitanti, la possibilità d'influire sulle decisioni comuni sarebbe eguale per i cittadini dei Paesi grandi e piccoli.
Nel campo della matematica pura, Penrose è conosciuto per lo studio delle strutture "quasi-periodiche", tassellazioni composte da pochi elementi che si possono ripetere all'infinito, che però non sono periodici: non si ripetono mai esattamente. I «quasi-cristalli» esistono in natura, ma sono stati anche utilizzati in campi che vanno dai disegni per piastrelle fino a un gioco per bambini, disegnato dallo stesso Penrose.
E in questi giorni si possono ammirare formule di Penrose perfino in una mostra d'arte contemporanea: Penrose ha sviluppato un metodo di calcolo basato su lunghe sequenze di disegni, e Luca Pozzi, brillante artista italiano sensibilissimo alla scienza, ha esposto le formule di Penrose a Grenoble in una piccola splendida Mostra dedicata ad Arte e Scienza.
Oggi Penrose è un signore di ottant'anni, che conserva l'aria da ragazzino e gli occhi incantati dal mondo. Scherza sulla memoria che se ne va, e sulle chiavi di casa che ha dimenticato all'interno, partendo molto presto la mattina per venire in Italia. Ma la sua mente è lucidissima, e quando spiega la sua ultima idea, raccontata in forma divulgativa nel suo ultimo libro, Dal Big Bang all'eternità, si entusiasma. L'idea è che guardando nel cielo forse possiamo vedere, anzi, forse abbiamo addirittura già visto, tracce di eventi avvenuti prima del Big Bang. Le tracce potrebbero essere degli immensi anelli concentrici nel cielo, che si intravedono nel «fondo di radiazione cosmico», la debole radiazione residuo del Big Bang che riempie l'universo. Pensate alle onde che perdurano in uno stagno anche dopo che un sasso è caduto nell'acqua, formando cerchi concentrici che si allargano. Qui lo stagno è l'intero universo, e il sasso caduto nell'acqua potrebbe essere una collisione di colossali buchi neri avvenuta prima del Big Bang...
Andiamo con ordine. Da poco abbiamo scoperto che l'universo si espande sempre più velocemente. Che sarà del futuro lontano? Gli ammassi di galassie si allontaneranno sempre più l'uno dall'altro, le stelle si esauriranno, tutto sarà ridotto a pochi grandi buchi neri e onde di luce che vagano sperdute in uno spazio sempre più sterminato e gelato. Fra eoni di tempo, anche i buchi neri finiranno per evaporare, e non ci sarà null'altro che un universo di onde di luce che corrono nel nulla. Per sempre. «Una prospettiva desolante e terribilmente noiosa – scherza Penrose –, ma per fortuna le onde di luce non si annoiano!». Suona come uno scherzo, ma non lo è: è un'osservazione acuta. Come ha compreso per primo Einstein, infatti, più ci muoviamo velocemente, più il tempo trascorre lentamente per noi. Se facessimo un viaggio a grandissima velocità, troveremmo al ritorno i nostri compagni di scuola molto più invecchiati di noi. Più ci si avvicina alla velocità della luce, più questo effetto è marcato; se potessimo andare alla velocità della luce, il tempo per noi si fermerebbe. Non scorrerebbe più. Ma la luce va alla velocità della luce. Quindi per la luce, il tempo non passa mai. La luce «non si annoia». Un universo in cui non ci fosse nient'altro che luce, sarebbe un universo in cui nulla "percepisce" lo scorrere del tempo. Il tempo, letteralmente, non ci sarebbe più. Non solo, ma se ci fosse solo luce, non si potrebbero misurare neppure distanze spaziali. L'universo del lontanissimo futuro, osserva Penrose, sarebbe un universo che potremmo descrivere come immensamente grande e immensamente durevole, ma in realtà sarebbe un universo senza durata e senza dimensione.
Ma proprio all'inizio del Big Bang, un istante prima di cominciare a espandersi, l'universo era esattamente in una situazione di questo tipo: senza durata e senza dimensione. E qui Penrose lancia il suo strabiliante suggerimento: se il futuro lontanissimo dell'universo non fosse che il Big Bang iniziale di un nuovo ciclo dell'universo? In entrambi i casi non c'è durata né distanza: un universo immensamente espanso è in realtà la stessa cosa di un universo infinitamente piccolo. Possiamo immaginare un "riciclarsi" dell'Universo in cui la scala di distanze sparisce e poi viene ridefinita. Forse l'immensità dell'universo futuro non è altro che la stessa cosa che il microcosmo dell'universo che inizia, solo vista "con un'altra scala", e il nostro stesso Big Bang non è altro che l'infinito futuro di un universo precedente. Possiamo cercare conferme a quest'ipotesi? Bene, osserva Penrose, gli ultimissimi eventi prima dello sfarsi del tempo devono essere state le ultime grandi collisioni degli ultimi buchi neri prima della loro evaporazione finale. Potrebbero queste collisioni aver lasciato una traccia? Una traccia può solo essere qualche increspatura leggera nel mare di luce finale. Qualche grande cerchio che si allarga nel cosmo, centrato sugli ultimi grandi eventi dell'universo. Questi grandi cerchi avrebbero potuto attraversare la fase in cui l'universo si ricicla, e ricomincia da un nuovo Big Bang. Se il nostro universo fosse il prodotto di una tale evoluzione, dovremmo poter vedere oggi nel cielo questi grandi cerchi, prodotti prima del nostro Big Bang. Questa è l'audace ipotesi di Penrose.

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