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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2012 alle ore 08:12.

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«Ma coi tempi che corrono, il Parlamento non ha proprio niente di più importante da discutere?», butta lì un lettore di uno dei tanti forum su internet, che da alcuni mesi si occupano dell'argomento. In realtà la questione è ben più annosa, ma solo da quest'estate il dibattito sulla correttezza politica e soprattutto di genere, dell'inno nazionale austriaco, ha cominciato a pervadere capillarmente i media e le conversazioni da bar. Da quando cioè con un colpo di mano, le deputate del Parlamento sono riuscite a far mettere all'ordine del giorno un emendamento al testo dell'inno, per ridurne il sapore squisitamente virile e riequilibrarlo nel senso della parità fra sessi. Un'azione trasversale a Centrodestra, Centrosinistra e Verdi, che ha spiazzato i colleghi maschi. Innanzitutto della parte destra dell'emiciclo, quella cui appartiene l'iniziatrice della proposta, la parlamentare Maria Rauch-Kallat, altrimenti nota per l'invito alle donne a sposare uomini danarosi, onde risolvere il problema della pensione: «Nessuno ha il diritto di cambiare un testo poetico, ha sbottato il suo collega di partito nonché ministro delle Scienze, Karlheinz Töchterle, sarebbe come modificare una scultura».
Anche fra i colleghi degli altri schieramenti la sorpresa si è mescolata allo scetticismo e a battute acidule sulla pretesa di sbianchettare un testo in vigore ormai dal 1947, solo per riscriverlo all'insegna della gender correctness: «Visto che a pari funzioni le donne ancora vengono pagate molto meno degli uomini, e che una volta in pensione prendono vitalizi da fame, accanirsi su un paio di parole è semplicemente cinico», ha chiosato Heinz-Christian Strache, successore di Haider alla guida dell'estrema destra. Già negli anni Novanta un'iniziativa per un inno politicamente corretto era stata tentata invano da una parlamentare socialdemocratica, Johanna Dohnal. E la stessa cosa era accaduta al primo assalto della Rauch-Kallat ai bastioni maschili nel 2005, nell'èra della coalizione di Centrodestra con Jörg Haider. Nell'ultimo scorcio del 2011, invece, l'inusitata alleanza tripartisan e l'agguato tenuto nascosto con femminei artifizi sino al momento di agire, sono riusciti a imprimere alla legge un iter lesto e invincibile.
Nulla ha potuto il ricorso degli eredi di Paula Preradovic, la poetessa che appena dopo la guerra vinse tra 1.800 candidati il concorso per il testo del nuovo inno. Il giudice chiamato a dirimere la questione, Maria Charlotte Mautner-Markhof, ha infatti regalato piena legittimità al progetto di legge: «Negli ultimi sessant'anni la consapevolezza sessuale è cambiata, tanto da far sì che il concetto di "cittadino" o di "austriaco" non comprendano più automaticamente quello di "cittadina" o di "austriaca". E non vi è violazione del diritto d'autore: Paula Preradovic ha ceduto il testo allo Stato».
Nulla ha potuto anche la valanga di interpellanze mirate ad appurare l'onere economico degli emendamenti all'inno: «È una legge a costo zero», è stata l'unanime risposta di tutti i dicasteri chiamati in causa. Risultato: 192 voti a favore e 39 contrari hanno decretato il cambiamento dell'inno nazionale austriaco a partire dal primo gennaio. Nella prima strofa non si canta più «Patria sei tu di grandi figli», bensì: «Patria sei di grandi figlie e figli», mentre i «cori fraterni» della terza strofa sono diventati «cori di giubilo».
«Un orrore dal punto di vista estetico» è stato il commento di Franz Patocka, del Dipartimento di Germanistica dell'Università di Vienna, che ha trovato una sponda in Gerhard Ruiss, presidente dell'Associazione degli Scrittori: «Invece che rabberciare, non sarebbe meglio riscriverlo tutto?».
Riscriverlo? Tutto? E perché? Eh, sì! Inviolati dai legislatori ma non dalla rete, sono rimasti certi scogli insormontabili per chi miri al traguardo di un testo del tutto neutro. Prima di tutto la parola "Vaterland" – patria – nella terza strofa, di cui però – obietta una commentatrice sul web – in un inno non si può proprio fare a meno, e che non si può cambiare in "Mutterland", perché questo è un lemma già occupato da un altro significato.
O il "Paese delle cattedrali" della prima strofa, che mal si sposa alla realtà di un'Austria ormai multireligiosa: «Già che ci siamo, non sarebbe meglio metterci anche sinagoghe e moschee?», esordisce un altro internauta.
Portata a casa ormai una prima vittoria in Parlamento, la rete ha già dato inizio alla fase 2.
Nel prevalente anonimato di internet, la discussione rompe gli argini: ma dobbiamo davvero continuare a dirci «liberi e credenti, alacri e speranzosi»? chiede un altro user, facendo riferimento da un lato alla terza strofa dell'inno nazionale, e dall'altro alla crescente disaffezione per la religione, alla piaga dei pensionamenti precoci, e alla povertà che ha cominciato a lambire un austriaco su otto, mentre si scatenano le rime baciate a base di "Paese dello Schnitzel", dei "Knödel", di "Hitler" o "delle zanzare", in una festosa e a tratti goliardica democrazia partecipata, che già da qualche anno vivacizza i forum web ogniqualvolta la cronaca riporta alla ribalta i temi sempreverdi del dibattito socio-politico austriaco: nazismo, Haider, religione, Asburgo e monarchia, politici corrotti, futuro incerto. E naturalmente l'inno nazionale, che in quanto icona dell'identità austriaca, è caratterizzato già da un paio di secoli da un elevato grado di instabilità: quello imperiale, del 1797, messo in musica da Haydn, veniva adattato a ogni nuovo monarca e a ogni Paese della corona, e alla proclamazione della prima repubblica, nel 1919, venne sostituito in successione, ma anche in parallelo, da altri tre.