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Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2012 alle ore 13:13.

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Metafisica, morale e tarocchiMetafisica, morale e tarocchi

«Ciò che chiamiamo "cultura" non è soggetto al criterio di verità, ma nessuna grande cultura può fondarsi su una falsa relazione alla verità». Questa frase di Musil potrebbe servire da motto all'opera intera di Sir Michael Dummett, uno dei maggiori filosofi del Novecento, spentosi all'età di 86 anni in questo fine d'anno così buio per l'Europa. Un'altra luce si spegne, mentre dura nei molti di noi che ne furono direttamente o indirettamente allievi la memoria del suo impegno illuminato, morale e civile.

L'impegno che Dummett ha dispiegato nella cospicua parte della sua opera e della sua vita che eccedono il suo lavoro strettamente filosofico, pur così centrale nel pensiero contemporaneo che ogni ricercatore del pensiero, anche al di là della cerchia di specialisti della disciplina da lui rifondata su nuove basi – la filosofia del linguaggio – ne ha dovuto tenere conto. E non è strana in lui la generosità con cui ha prodigato la sua intelligenza nella lunga battaglia, condotta a fianco della moglie Ann, per la giustizia in materia di immigrazione e il superamento di ogni discriminazione razziale, nel lavoro sulle procedure di voto più efficienti a garantire la rappresentanza democratica, e infine negli amati studi sul gioco dei Tarocchi, attraverso i quali era giunto a padroneggiare la storia iconografica e culturale dell'Europa intera.

Non è strana questa generosità morale e questa inesauribile curiosità intellettuale in un uomo che definiva la filosofia, semplicemente, «un settore della ricerca umana di verità». Né più, né meno. Accanto alle scienze, accanto alla ricerca personale, morale e anche religiosa, che in lui fu tanto discreta quanto viva. Michael Dummett, la cui opera ha radici nella più nobile tradizione del pensiero europeo, da Hermann Lotze a Gottlob Frege padre della logica moderna, da Ludwig Wittgenstein a Edmund Husserl, a lui familiare come raramente accade sotto le guglie di Oxford, sta a testimoniare con la limpidezza del suo sguardo che la "cultura europea" non ha prodotto solo, in filosofia, apocalittici e postmoderni, retori, sofisti, nichilisti e soprattutto scettici (cioè relativisti, persone che pensano che la verità sia relativa a culture, epoche storiche, contesti, eccetera) ma anche buona parte della migliore filosofia analitica. Per non parlare della fenomenologia, quest'altro grande programma di filosofia come ricerca rigorosa di verità (al plurale) intorno ai dati di realtà e di valore del mondo quotidiano, oggi come sempre sommerso dalla chiacchiera dell'opinione infondata, violentato dall'ideologia, occultato dalla banalità. Ma oggi troneggia nella mente il bel volto e la parola lucidissima di questo grande maestro, che in Italia – un Paese che amava, di cui parlava la lingua e dove tornava volentieri – tenne nel 2004, nella «Lezione magistrale» in apertura del Convegno lezione su Il ruolo della filosofia nella cultura europea, che è straordinariamente istruttivo rileggere oggi sul sito della Società italiana di filosofia analitica .

È impossibile riassumere in poche righe la parte definitiva del contributo che il suo pensiero ha dato alla filosofia. Nell'insegnamento di alcuni di noi questo contributo sta nei fondamenti stessi del nostro lavoro quotidiano, nella chiarezza con cui Dummett ha mostrato in che modo gli assunti fondamentali delle metafisiche sono riducibili a certe assunzioni sulla logica e la teoria della verità. Così per il realismo, ad esempio, di cui oggi si è molto tornati a parlare a difesa della realtà dei fatti e dei patti contro l'onnivora pretesa ermeneutica delle interpretazioni; o per l'anti-realismo, che non ammette nessuna realtà al di fuori del verificabile. Che ad esempio la nostra fiducia in una realtà delle cose là fuori si traduce nella definizione della realtà come l'insieme dei fattori di verità, vale a dire delle cose che rendono vere o false le nostre proposizioni, e delle proposizioni come portatrici di verità (o falsità) del tutto a prescindere dalla circostanza che siamo o no in grado di provarle vere, o false. E che l'antirealismo si traduca in tesi opposte a queste.

Per tutta la sua vita Dummett ha mostrato le enormi conseguenze – metafisiche e morali, segretamente anche teologiche – che l'uno o l'altro assunto sulla natura del vero comporta. Ma anche chi crede che della metafisica si possa fare a meno dovrebbe oggi familiarizzarsi almeno con l'argomento di Dummett contro lo scetticismo. Esso illumina il nesso necessario fra la possibilità che abbiamo di esprimere pensieri definiti – e quindi di capirci gli uni gli altri: di capirci quando discutiamo in filosofia e nelle scienze, ma anche quando discutiamo dei fatti, dei valori, delle cose che è giusto fare – e la nostra disponibilità a prendere sul serio la pretesa di verità implicita in ogni asserzione. Se ad esempio affermo che non esistono verità, sto affermando che è vero che non esistono verità. Il contributo di Dummett è di mostrare che se non c'è accordo sulle condizioni alle quali riconosceremmo per vero un qualunque asserto, non c'è semplicemente un pensiero definito che quell'asserto esprime. Parliamo, parliamo, e non diciamo nulla. Questa lezione ci insegna che, se parlare o no razionalmente (cioè dando ragioni di quello che si afferma) dipende da noi, non è in nostro potere pensare qualcosa di definito se non indichiamo condizioni di verità per le nostre asserzioni.

Se lo scettico, se il relativista culturale inducessero la maggior parte dei parlanti a non prendere sul serio la pretesa di verità delle asserzioni, allora, conclude Dummett, scenderebbe su di noi «una maledizione peggiore di quella che Dio ha imposto ai costruttori di Babele: invece che parlare diversi linguaggi non parlare affatto un vero linguaggio». Dato che quest'ipotesi non è purtroppo puramente accademica, segnaliamo almeno un libretto che ogni studente dovrebbe leggere, e che esiste al momento solo in italiano (mentre quasi l'intera opera è tradotta nella nostra lingua): La natura e il futuro della filosofia (Il melangolo, Genova, 2001). Ancora grazie, caro maestro.

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