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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2012 alle ore 14:51.

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Illustrazione di Guido ScarabottoloIllustrazione di Guido Scarabottolo

Ecco una selezione di citazioni tratte dagli articoli che il filosofo Michael Dummett, morto lo scorso 27 dicembre a Londra, dov'era nato nel 1925, ha pubblicato nel corso degli anni sulla Domenica del Sole 24 Ore. Dopo ogni citazione, il link alla versione integrale dell'articolo.

La filosofia fa progressi, e i suoi progressi sono una conquista per tutti. Poiché fa progressi, e poiché i suoi progressi sono il frutto di sforzi collettivi, non è diversa da ogni altra ricerca della verità (in primis quella scientifica, ndr). Una vita dedicata alla filosofia ha senso anche se contribuisce al progresso filosofico in una misura molto limitata. Un metodo sicuro per capire a quale dei due campi, analitico o continentale, appartiene un filosofo: chiedetegli a che cosa sta lavorando: se risponde con un problema (il libero arbitrio, il concetto di verità, ecc.) è un filosofo analitico; se risponde con una persona (Hegel, Husserl, Marx, Freud, ecc.) è un filosofo continentale.
(da «Analitici e continentali. Il pensiero fa progressi», 27 luglio 1997)

Gianni Vattimo mi chiede se quella che io chiamo «la nostra concezione della realtà» può essere considerata qualcosa di simile al «senso dell'essere» di Heidegger. E cerca di spaventarmi dicendo che, se non è così, allora la filosofia sarà ridotta a sapere ausiliario delle scienze. ... Per avere una concezione vera della realtà non solo dobbiamo conoscere gli "esseri" che contiene, ma sapere quali fatti stanno in piedi e in virtù di cosa stanno in piedi. I fatti corrispondono alle proposizioni vere; contrariamente a Heidegger, e d'accordo con Frege, io dico che è alle proposizioni che si riferisce la verità, non ai fatti. Per avere una concezione della realtà – e vedere il mondo correttamente - noi dobbiamo arrivare a una comprensione profonda del concetto di verità.
(da «Prof. Vattimo, non dimentichi la ragione», 3 agosto 1997)


È sufficiente obiettare al soggettivista che gran parte degli esseri umani concordano nei propri giudizi morali? L'argomento avrebbe poco peso anche se l'accordo fosse quasi unanime. I disaccordi, ovviamente, esistono, assai profondi, soprattutto sull'uccidere. Ma è più illuminante concentrarsi su un altro punto: e cioè sul fatto che, per poter riconoscere come giudizi morali certi giudizi da cui dissentiamo, dobbiamo immaginare la visione del mondo di colui che li sostiene. Alcuni pensano che il suicidio sia sempre un male, altri invece che in particolari circostanze possa essere un nobile gesto.
Perché i primi possano riconoscere che quello degli altri è, per quanto diverso dal proprio, un punto di vista morale, essi devono provare a immaginare che cosa significa avere una diversa concezione della vita umana, a partire dalla quale si può provare ammirazione per certi tipi di suicidio.

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