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Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2012 alle ore 14:23.

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Paolo Rossi, grande storico delle idee e collaboratore del Domenicale dal 1999, ieri è venuto meno a Firenze. Nato a Urbino nel 1923, aveva frequentato le scuole elementari ad Ancona e le medie, comprese le superiori, a Bologna. Iscrittosi nel 1942 al corso di laurea in filosofia nell'Università di Bologna, si era laureato nel 1946 a Firenze, con Eugenio Garin, discutendo una tesi sul pensiero di Piero Martinetti.

Dopo avere insegnato storia e filosofia nel liceo classico Plinio il giovane di Città di Castello, negli anni dal 1950 al 1959 era stato assistente di Antonio Banfi presso la Facoltà di Lettere e filosofia di Milano. Ottenuta nel 1954 la libera docenza in storia della filosofia, aveva insegnato come professore incaricato di filosofia della storia nella Facoltà di Lettere dell'Università di Milano dal 1955 al 1961. Nel 1961 vinceva il concorso per professore ordinario di storia della filosofia e insegnava quindi nelle Università di Cagliari e di Bologna. Dal 1966 al 1999 è stato ordinario di storia della filosofia nell'Università di Firenze e dal 1999 professore emerito della stessa Università.

Dal 1980 al 1983 è stato presidente della Società Filosofica Italiana e, dal 1983 al 1990, presidente della Società Italiana di Storia della Scienza. Nel 1985 gli è stata conferita dalla History of Science Society (USA) la "Sarton Medal" per la storia della scienza e, con la stessa motivazione, nel 2009 ha ottenuto il premio 'Balzan'.
I suoi principali interessi di studio vertevano sulla storia delle idee e del pensiero scientifico, in particolare dei secoli XVI e XVII. L'autore al quale aveva dedicato il suo primo importante lavoro, che gli aveva dato fama internazionale, era stato Francis Bacon. Nel saggio: Francesco Bacone, dalla magia alla scienza (1957) Rossi mostrava con grande equilibrio come Bacone avesse contribuito al sorgere della nuova mentalità scientifica, pur mantenendosi all'interno di un involucro legato a temi magici.

Con Clavis universalis: arti della memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz (1960), Rossi aveva riportato alla luce un tema della cultura europea che, in gran parte, era stato dimenticato e che si legava, per il tramite dell'idea di costruire una lingua universale, ai progetti per la costituzione di enciclopedie del sapere e alla nascita del calcolo combinatorio. Sia il libro su Bacone, sia la Clavis sono tuttora due testi di riferimento per gli studiosi della filosofia del Cinque-Seicento. Le sterminate antichità: studi vichiani (1969; nuova edizione: Firenze, 1999) ha costituito e costituisce tutt'ora un testo fondamentale sul pensiero di Vico ed è noto e diffuso negli Stati Uniti, soprattutto tra coloro che si occupano di cultural studies.

Negli anni Cinquanta, Paolo Rossi ha partecipato attivamente al movimento cosiddetto "neoilluminista" avviato da Abbagnano e Bobbio. Nel dibattito circa la nascita della cosiddetta "rivoluzione scientifica" del secolo XVII Rossi ha difeso inizialmente, almeno fino alla Storia della scienza della Utet una posizione cosiddetta "discontinuista", rispetto ai periodi precedenti (in particolare il Rinascimento), sottolineando il carattere di novità del metodo scientifico che si veniva affermando da Galileo in poi. Proprio con la Storia, tuttavia, Rossi attenuava considerevolmente l'idea della discontinuità.
Nei numerosi scritti che si sono succeduti nei decenni successivi agli anni Settanta del secolo scorso, Rossi ha continuato a occuparsi con costanza di temi legati alla storia della filosofia e, soprattutto alla storia delle idee, sforzandosi di cogliere analogie tra temi e posizioni culturali non solo diversi, ma anche lontani nel tempo.

Alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, nell'Istituto di Filosofia della Facoltà di Lettere di Firenze, tra colleghi che si sentivano "prime donne" e che, nella maggior parte dei casi, mantenevano una certa distanza con gli studenti, Paolo Rossi si distingueva per la cordialità dei modi e la disponibilità ad ascoltare e a discutere. In un periodo turbolento, durante il quale non era certo né se ci fosse lezione né come venisse svolta, Rossi non di rado, in sostituzione dell'attività didattica accettava di discutere e di confrontarsi con gli studenti, col suo tipico modo di parlare, privo di enfasi e senza retorica. Un modo di parlare, del quale vi era una persistente eco nella sua scrittura, che risultava piana, chiara e sobria.

Per chi, all'epoca, nella Facoltà di Lettere di Firenze, intendeva sottrarsi all'idealismo crociano, che ancora era ben vivo nella tradizione locale di storia della filosofia, senza d'altra parte farsi assorbire dal marxismo, Paolo Rossi rappresentava una via d'uscita verso posizioni storiografiche affini a quelle proposte nel mondo anglosassone. Al tempo stesso, come docente, in un periodo nel quale gli allievi tendevano a stringersi intorno al "maestro", nella speranza di ottenere un posto all'Università, e i professori li dissuadevano implicitamente dall'andarsene in giro per il mondo, forse per evitare confronti, Rossi incoraggiava i propri allievi a ottenere borse di studio per l'estero, a instaurare rapporti con docenti e istituzioni straniere.

Da questo punto di vista, Rossi manifestava un atteggiamento insolitamente liberale e aperto.
Negli ultimi anni la sua ricerca, in antitesi a quelli che chiamava "studi degli epistemologi", si era orientata sempre più verso una riflessione sulla cultura di tipo 'narrativo', che si teneva lontana dal ricorso ad argomentazioni di tipo analitico. I suoi lavori, anche i più recenti, sono stati tradotti in molte lingue, contribuendo a diffondere la sua fama di studioso ben oltre i confini nazionali.

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