Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2012 alle ore 08:14.

My24

L'identità locale non si fa più rappresentare dalle maschere del teatro del l'arte. La Napoli che Francesco Durante descrive nel suo I Napoletani è una «città nonostante», non assimilabile a Pulcinella, popolata da individui che ci credono e che, perciò, provavano a uscire dallo stereotipo. I Napoletani, così come I torinesi di Osvaldo Guerrieri (anche in quel caso non si vede l'ombra di Gianduia) aprono una serie editoriale proposta dalle edizioni Neri Pozza, (i prossimi volumi saranno Siciliani di Alfio Caruso e Romani di Sandra Petrignani) che propone un diverso percorso intorno all'identità. Un profilo costruito intorno alle storie personali e locali, ma dove anche fanno capolino quei «nuovi abitanti», come in tempi recenti ci ha invitato a vedere Anna Granata, nel suo Una vita che sono qui (Carocci) e come il 15 novembre scorso nell'incontro con i «nuovi cittadini italiani» ha richiamato il Presidente della Repubblica. Un profilo che si svolge avendo presente le due convinzioni che hanno espresso il confronto Nord/Sud nella storia dell'Italia unita: da una parte i "piemontesi", convinti che il Sud fosse un luogo da domare e da "civilizzare"; dall'altra i meridionali, convinti di essere oggetto del disprezzo dei «nuovi padroni» venuti da Nord. Una percezione che negli ultimi anni ha fatto persino riscoprire una nuova forma dell'orgoglio meridionale, un tempo vessillo dei nostalgici dei Borboni, e ora risorto a nuova vita come replica al discorso leghista (un tema su cui Durante insiste nelle pagine finali del suo libro) e che vede un figlio ribelle del Sud, Edoardo Bennato, farsi paladino di questa nuova forma di risentimento.
Certamente è difficile tenere un'idea ferma, quando si parla della città che si ama e che si vorrebbe risorta a nuovi splendori. Nelle parole di Enzo Gragnaniello pronunciate nell'agosto di quest'anno alla Mostra del cinema di Venezia e che Durante riprende nel suo libro, Napoli è una città residuale, svuotata della sua tradizione. Ma all'inizio di dicembre, rispondendo a Cristiano Sanna (l'intervista è leggibile sulla pagina web di Tiscali), alla domanda come sia cambiata Napoli e se gli piaccia così come è oggi, Enzo Gragnaniello, risponde: «È una città sempre più rumorosa, tecnologica, globale. E questo può ancora starmi bene. È invece triste e pericoloso che molti napoletani non si rendano più conto di chi sono, da dove vengono, quale ricchissima storia culturale hanno da condividere. Una storia di cui essere fieri invece di vergognarsene. Il napoletano sarà sempre impastato di storia e poesia, basta solo che faccia loro spazio». A voler esser impertinenti si potrebbe osservare che la cosa più banale da dire sulla identità è che spesso chi ne parla non è fedele alle sue opinioni. Non per questo tuttavia il discorso sul l'identità locale è privo di spessore. Sia Durante che Guerrieri lo dimostrano nei loro libri. Quale identità sta al centro di questi due volumi?
Apparentemente un'identità nostalgica in cui si ritrovano atmosfere, ambienti, letteratura. In realtà il profilo che percorre entrambi i volumi (e che probabilmente costituisce il percorso di lavoro dei volumi dell'intera serie) è l'archeologia dell'identità attuale. La Napoli di Durante è una città che ha consapevolezza del suo facile cadere a stereotipo, a immagine da cartolina e contemporaneamente si concede e si sottrae. Una città su cui, già nel Settecento, battono la penna acida dell'abate Galiani, e che oggi ha l'ultima voce nella denuncia di Roberto Saviano, senza dimenticare lo sguardo crudele e accorata che passa per la scrittura,e la recitazione di Beppe Lanzetta o di Gaetano Di Vaio. Tra guerra e il lungo dopoguerra, un tempo interrotto o incancrenito dal colera del l'estate 1973 e dalla società del terremoto irpino nel novembre 1980, come ricorda Vezio De Lucia, Napoli è molte cose: è la città cruda de La pelle di Curzio Malaparte; poi è l'anima profonda del teatro di Eduardo; quindi lo sguardo di Anna Maria Ortese nei racconti di Il mare non bagna Napoli fino a Il cardillo addolorato; è Via Gemito di Domenico Starnone, o Non ora, non qui di Erri De Luca. In mezzo la scrittura civile di Ermanno Rea, con l'affresco del conflitto tra privato e politica descritto in Mistero napoletano, poi soprattutto l'addio all'avventura industriale, descritta ne La dismissione, l'anticamera del disagio sociale e della malinconia che oggi coabita a Napoli con la rabbia sociale, con i molti fuochi delle discariche, con la mancanza di progetto come dice Francesco Venezia, con il malessere diffuso. Ma anche con la possibilità di altri e nuovi percorsi.
Una storia per questo profilo che corre parallela a quella proposta su Torino da Osvaldo Guerrieri, descritta per biografie esemplari, un espediente letterario che serve per rendere conto dei diversi mondi, umani, che hanno attraversato Torino tra Risorgimento e fine della città industriale.
Il libro si apre con Cavour e si chiude con Gianni Agnelli (poteva essere diversamente?). Una carrellata di figure, storie, ambienti, fisionomie in cui si incrociano le diverse esperienze umane e professionali della città: il mondo letterario di inizio Novecento con Gozzano ma, soprattutto, di Amalia Guglielminetti, la donna poeta che muore sola; il mondo del calcio nelle sue diverse fisionomie quella austera di Vittorio Pozzo e quella più imprevedibile di Giampiero Combi; la vita Giuseppe Cafasso, l'ultimo boia di Torino; la vicenda misteriosa e "noir" di Rosa Vercesi.

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi