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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2012 alle ore 08:16.

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Qualche giorno fa a Radio Deejay Nicola Savino ha detto qualcosa come «Senza Elio e le Storie Tese la vita sarebbe un po' meno bella». Radio Deejay non è campo neutro, dato che gli EelST ci fanno un programma ogni lunedì sera da quasi vent'anni (già solo il titolo del programma, Cordialmente, richiederebbe righe e righe di spiegazioni, perché per quello slittamento linguistico che coinvolge molte delle parole usate dagli EelST – e i loro stessi nomi: Elio non si chiama Elio, Rocco Tanica non si chiama Rocco Tanica – al titolo si sono aggiunte, negli anni, infinite irrazionali sconce appendici, impossibili da registrare qui, e il risultato è che oggi il programma si chiama Cardialmente gigioneggiamo, ma domani cambierà ancora). Radio Deejay non è campo neutro, ma la verità, detta molto in breve, è questa: la vita sarebbe un po' meno bella senza gli EelST.
Naturalmente questo si può dire di un mucchio di cose e di un mucchio di persone, e ognuno ha il suo elenco: «il secondo movimento della sinfonia Juppiter, Louis Armstrong, l'incisione di Potato Head Blues, i film svedesi naturalmente, L'educazione sentimentale di Flaubert , quelle incredibili mele e pere di Cézanne...» (Woody Allen, Manhattan). Sono tutti grandi piaceri: ma sono piaceri per iniziati, che per essere davvero apprezzati richiedono tempo, educazione, applicazione. Le vite medie non sono illuminate da Flaubert o da Cézanne, e anche nelle vite degli intellettuali sospetto che Flaubert e Cézanne contino un po' meno di quanto agli intellettuali piace raccontare. E poi alla grande arte si collega quasi sempre un po' d'amarezza: uno può godere dell'Educazione sentimentale, può ringraziare Dio che Flaubert l'abbia scritta, ma il finale del romanzo non spinge veramente a pensare che la vita sia bella (qualche suo frammento lontano, semmai, ma ora non più): chiudiamo il libro affascinati, commossi, ma non con il sorriso sulle labbra. E insomma, tra ciò che rende la vita degna di essere vissuta e ciò che la rende "più bella" la sovrapposizione non è perfetta. Kafka, per dire, sta nel primo cesto, non nel secondo; e anche i film svedesi, direi.
Invece le parole «temporeggio bevendo spuma» (Tapparella, degli EelST) sono, per me, una riserva di pura gioia. E anche la rima «E canto please don't let me be misunderstood / mentre parcheggio nel parcheggio l'Alfasud" (Discomusic). E anche la canzone anti-Forza Italia del 1994: «Siamo piccoli ma in fondo al cuor / c'è un istinto come di elettor / che ci guida ad una nuova speranza / di agio / e di imprenditorialità» (Voglia di Biscione). E anche Gli amori di Toto Cutugno che diventa Grazie Ameri, quello di Tutto il calcio minuto per minuto. E anche tutte le canzoni di Natale scritte per Radio Deejay, in particolare quella che contiene i versi «sta scendendo anche l'effetto / delle benzodiazepine / che il dottore mi ha prescritto» (Presepio imminente). Potrei continuare per pagine. Pura gioia, senza l'ombra di un'ombra.
Per i distratti, o per chi non c'era. Il primo nucleo degli EelST si forma nel 1980 (Elio ha diciannove anni), ma il loro primo disco esce nel 1989: per quasi un decennio si limitano a fare concerti a Milano e in Lombardia e il successo (che è già però un successo interregionale: nella mia cameretta di Torino arrivano già verso il 1983-84) cresce attraverso il passaparola e – i lettori sotto i trent'anni si facciano spiegare da un anziano – attraverso le cassettine doppiate da un amico di un amico di un amico, registrazioni dal vivo che di copia in copia finivano per essere praticamente inudibili, un unico lunghissimo effetto neve sonoro: capire il testo di Cara ti amo, che è recitata non cantata, era già una fatica; per i doppi o tripli sensi osceni di Nella vecchia azienda agricola non c'era speranza: avremmo dovuto aspettare i dischi, la consulenza di amici più informati, internet. Nel 1989 esce «Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu» (che vuol dire qualcosa di atroce, in cingalese), che vende più di centomila copie. Seguono altri otto album, più varie raccolte live. Nel 1996 vincono, arrivando secondi (la contraddizione è solo apparente), il Festival di Sanremo. Nel 1997 girano un film porno con Rocco Siffredi. Negli anni Zero, da soli o in formazione completa, fanno concerti, teatro, televisione, libri, e tra i libri una splendida autobiografia di gruppo, Vite bruciacchiate (Bompiani 2006). E oggi sono forse gli unici in Italia, insieme a Vasco Rossi, ad avere un vero successo intergenerazionale, dai teen-agers ai giovani nonni, diciamo.
Le due cose che si dicono più spesso a proposito degli EelST sono: (a) sanno anche suonare; (b) sono geniali. Anche in Vite bruciacchiate geni/geniali è la parola che quasi tutti gli amici-testimoni adoperano per dire la loro ammirazione. Geniali è molto (e, per una volta, è giusto), ma è anche vago. Se proviamo a scomporre questa genialità, che cosa troviamo? Direi soprattutto tre elementi.
Il primo è la capacità di vedere le cose. È la dote che hanno i poeti, è la ragione per cui leggiamo poesie: Seeing Things è il titolo di un libro di Seamus Heaney. Chi ha letto La pantera di Rilke non guarda più con gli stessi occhi l'animale in gabbia allo zoo. E chi ha letto i versi centrali del canto XXIII del Paradiso («Come a raggio di sol, che puro mei...») se li ricorda ogni volta che gli capita di vedere in lontananza, mentre il cielo sopra di lui è coperto, un prato illuminato dal sole. Naturalmente i poeti trasfigurano il loro quotidiano, non il nostro, e si chinano più volentieri sul sublime che sulle piccole avventure dell'uomo medio sensuale. Ebbene, gli EelST hanno preso in carico questo spicchio importantissimo di realtà. La festa delle medie non esisteva veramente, non era ancora stata veramente vista, prima che gli EelST la vedessero e la descrivessero in Tapparella. E il lato umiliante degli amori adolescenziali aspettava ancora i suoi cronisti: Servi della gleba è questa cronaca.

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