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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2012 alle ore 08:13.
Ciò che è temuto maggiormente è il meccanismo perverso innescato dallo sfruttamento delle risorse di idrocarburi dell'Artico: «Più petrolio si estrae più il Polo si scioglie – osserva Reiersen –. E più il Polo si scioglie più giacimenti diventano disponibili. Non solo, col riscaldamento il permafrost libera il metano, gas serra venti volte più potente della CO2, e con l'aumento della temperatura, l'oceano Artico che ha sempre assorbito CO2 finirà per trasformarsi in un mare di microbi che invece di assorbire produce gas serra. La finestra per mitigare il cambiamento climatico in modo da evitare i rischi peggiori si sta chiudendo». Thomas B. Johansson, direttore del «Global Energy Assessment», un grande studio cui hanno partecipato 300 ricercatori e che sarà pubblicato questa primavera, rincara: «Nel 2020 sarà già troppo tardi, dovremmo fare così tanti sforzi che sarà impossibile non superare quella soglia di due gradi in più oltrepassata la quale si avrà una grande probabilità di eventi climatici estremi e anche di discontinuità su larga scala». La loro analisi ha mostrato che soprattutto isolando bene le costruzioni in modo da risparmiare energia per il riscaldamento e il condizionamento e incrementando le installazioni di fonti rinnovabili si potrebbe garantire al mondo l'energia necessaria per svilupparsi, fornendo anche entro il 2030 un accesso quasi universale all'energia, e allo stesso tempo abbassare significativamente il rischio degli eventi catastrofici che il riscaldamento climatico promette. «Si tratta di raddoppiare gli investimenti in atto – spiega Johansson –. Ma sono investimenti, non costi. Però i profitti a breve termine sono purtroppo sempre molto più potenti di quelli a medio termine». «Dove sono finiti i veri uomini di stato, quelli che guardano lontano al benessere della popolazione?» si chiede Reiersen.
Dopo il fallimento dei negoziati di Durban, Johansson stima che la temperatura media del globo crescerà di 3,2°C entro il 2050. Altro che restare sotto i 2°C come previsto dal protocollo di Kyoto. L'ultima parola va ai popoli indigeni del Nord, i «piccoli uomini dell'Artico», come talvolta si definiscono. Vivono di pesca, caccia o allevamento di renne e – preoccupati dalle nuove rotte commerciali e dalle attività estrattive che minacciano di danneggiare la loro casa – sono accorsi a Tromsø in gran numero, vestiti dei variopinti abiti tradizionali e armati solo di un'antica saggezza. «Cosa sono la luce e il fuoco se non energia?» esclama Anna Naikanchina, presidente di Raipon, associazione che rappresenta le popolazioni indigene della Russia. Sta raccontando una favola della sua gente che è una metafora del cattivo uso dell'energia. «"Il fuoco può costruire o distruggere". Così spiega una nonna al suo nipotino, insegnandoli come sopravvivere quando lei non ci sarà più. "Il fuoco è la cosa più importante che ci sia in Siberia. Bisogna rispettarlo, non ci si può sputare sopra, non lo si può insultare". Ma il ragazzino non le dà retta e un giorno il fuoco se ne va, portando con sé anche la vita».
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