Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 11 febbraio 2012 alle ore 16:07.

My24

Rubava, Antoine Doinel, e mentiva anche. Ma forse si dovrebbe dire che mentendo non faceva che rubare. Una volta, proprio nel '58, aveva cercato di giustificare l'assenza da scuola dicendo d'esser dovuto andare ai funerali della madre. Una bugia madornale. Una bugia senza speranza. Eppure detta a freddo, confidando in una ancor più madornale faccia tosta. In gioco c'era la libertà, il diritto di rincorrere i propri amori. Era stato al cinema, infatti, quel ragazzino di quattordici anni. E là, nella sala buia, aveva rubato un sogno a occhi aperti (poi, per completezza, nell'atrio aveva anche rubato la foto di un'attrice). La bugia, dunque, era il mezzo per tenersi quel che aveva rubato, e per continuare a rubarlo. Non ci si stupisca se, da ventenne, mentiva alle donne per rubare i loro baci.
I baci rubati, infatti, sono i più dolci.

Un comportamento infantile, quello di Antoine Doinel? È fuori di dubbio, Antoine Doinel è morto quasi quarantenne senza però esser mai diventato adulto. «Desidera essere felice - ha scritto di lui quel tale bene informato - ed è come se non riuscisse a conservare, una volta raggiunta, la felicità o qualcosa che le somigli. È un uomo in fuga». Fuggiva dal presente. Si rifugiava nella memoria del passato o nel sogno del futuro. «Dovrebbe smettere di fuggire - ammetteva ancora la stessa fonte, nel '78, quasi contro voglia - ... saper cogliere il presente... smetterla di regolare i suoi conti con la madre attraverso tutte le ragazze che incontra...».

Se l'avesse smessa, Antoine Doinel sarebbe cresciuto. E noi oggi lo vedremmo, ancora vivo, nella futile società di ogni adulto-davvero-adulto: avvocato, magari, o professore. E invece s'é ostinato, per tutta la vita, a restare quattordicenne, a conservare dentro di sé un po', anzi molto della fragile ricchezza dell'adolescenza. Ci si è dovuto impegnare. Ci ha dovuto mettere del coraggio, molto più che nei suoi furti d'amore.

Era coraggioso, nonostante tutti i suoi difetti, Antoine Doinel. La sua non è stata una vita esaltante, non è stata una vita eroica. È stata «una vita e basta». Proprio per questo c'è voluto coraggio, a viverla. C'è voluto coraggio prima a mentire, a rubare baci. Poi ce n'é voluto a sposarsi.
Certo, alla fine s'é deciso per una donna, una sola, iniziando - come si dice - «una vera vita in comune». Insieme con la sua Sabine, dobbiamo ricordarlo «deliberatamente, sfacciatamente o, se si preferisce, disperatamente felice». Durerà tutta la vita? I due non possono saperlo, ma si dicono l'un l'altro: «Si può fare come se, sì, è così, facciamo come se». Un modo sottile e coraggioso di mentire e rubare, il come se. Ci si può credere, se si ha voglia di farlo.

Post scriptum: Chi è dunque questo Antoine Doinel? Si può cominciare ricordando che è il protagonista di tanti film del grande Francois Truffaut, nato da una sorta di simbiosi cinematografica con l'attore Jean-Pierre Léaud, a partire da I quattrocento colpi (1958). Le sceneggiature di quei film e alcune considerazioni del regista sono ora pubblicate da Marsilio in Le avventure di Antoine Doinel (pagg. 330, L. 48.000). Leggetelo, e intanto magari tenetevi vicini altri libri di Truffaut: Autoritratto (splendido epistolario pubblicato da Einaudi nell'89), Il piacere degli occhi e I film della mia vita (appena ripubblicati da Marsilio).

Leggendo, scoprirete che Antoine Doinel è molto di più che semplice finzione. È un uomo, con una vita propria, con un'evoluzione psicologica e fisica, e qua e là anche con una involuzione (la vita, ricorda Truffaut, è un processo di demolizione). Nel caso suo, il cinema e la vita sono davvero stati la stessa cosa: la sua adolescenza, la sua giovinezza e la sua prima maturità hanno avuto il volto e l'anima di Le'aud, che invecchiava con lui, film dopo film. Poi, nel quinto e ultimo capitolo della serie (L'amour en fuite, 1979), si sposa con Sabine, decidendo insieme con lei di provare, come se.

Ed è lì, in quel finale per la prima volta "chiuso", che Antoine Doinel muore, nel senso che non ci saranno altri suoi film, dopo quello. Sono due i motivi per cui muore. Quel film - dice il suo autore - riassume i quattro precedenti, è il loro «esito definitivo». Era Sabine, era proprio Sabine, quello che alla fine di I quattrocento colpi, senza saperlo, quel lontano quattordicenne vedeva guardando il mare, finalmente libero. E poi Truffaut non sopporta l'idea di mostrarne la vita adulta-davvero-adulta.
L'adolescente d'un tempo non può, non potrà mai avere quaranta, cinquanta, sessant'anni. E allora il suo creatore lo porta fino alla soglia della vita adulta-davvero-adulta, e ce lo lascia, disperatamente felice.

Chi è, alla fine, Antoine Doinel? Antoine Doinel siamo noi che abbiamo la sua età, anno più anno meno. Non in tutto e per tutto, certo. Lo siamo nel senso complessivo di una generazione che ha assaporato il gusto di un'adolescenza prolungata a dismisura, che ha vissuto e vive spesso come se, coraggiosamente insicura, e che - per quel che riguarda gli uomini - ha scoperto la tenerezza, finalmente. Leggetelo, Le avventure di Antoine Doinel. I nostri anni 60 e 70 sono stati migliori di quanto oggi a noi par di ricordare.

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi