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Questo articolo è stato pubblicato il 01 marzo 2012 alle ore 18:40.

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Se vostro figlio il più piccolo vi chiedesse in che cosa è consistita di preciso la genialità di Lucio Dalla, come rispondereste? Piuttosto che ricorrere alle parole, vi consigliamo vivamente di mettere in fila almeno dieci suoi brani.

Non necessariamente i più famosi, ma quelli che hanno lasciato un segno, i pezzi grazie ai quali da un giorno all'altro la musica leggera italiana e la vita di molti italiani ha voltato pagina. Lasciate perdere «Caruso» o «Attenti al lupo» ché probabilmente vostro figlio le avrà già sentite, alla ludoteca o in televisione. Concentratevi sulla produzione degli anni Settanta, senza la quale Dalla non sarebbe diventato il Lucio nazionale.

Non si può non partire da «4 marzo 1943», poesia di Paola Pallottino che un Dalla non ancora cantautore (nel senso che non scriveva i testi) mise in musica. Il titolo originale era «Gesù Bambino» ma, siccome il palco destinato a ospitarla era quello perbenista del Festival di Sanremo, censura impose di ripiegare su un titolo… autobiografico. Nel senso che il 4 marzo del '43 il musicista bolognese ci era nato. Di poco successiva è «Piazza grande», musica scritta in collaborazione con Rosalino Cellamare, in arte Ron, all'epoca chitarrista del Nostro, testo del tandem Gianfranco Baldazzi-Sergio Bardotti. Pure stavolta Dalla la porta a Sanremo ma deve accontentarsi dell'ottava posizione. Il tema «gitano» delle liriche riesce perfettamente credibile nell'interpretazione del polistrumentista bolognese. Un classico del folk Made in Italy. Obbligatorio inserire in lista almeno un brano composto in collaborazione con il poeta Roberto Roversi. Puntiamo su «Nuvolari», omaggio futurista e futuribile all'idolo delle quattro ruote degli albori. Da applausi.

Poi c'è il Dalla cantautore, quello che a furia di frequentare poeti si fa poeta lui stesso. Tutto parte con «Com'è profondo il mare» - fotografia indelebile di un certo tipo di umanità che abita un certo tipo di un'Italia -, brano memorabile che apre e dà il titolo all'altrettanto memorabile album. Che si chiude con il divertissement «Disperato ironico stomp», in pratica un fumetto di Milo Manara in musica. Prova di grande intensità lirica è «Anna e Marco» ma i più ricorderanno il Lucio nazionale per «L'anno che verrà» dallo stesso omonimo album. Fate un esercizio: ascoltatela come se non fosse uno dei cinque brani più famosi di sempre della musica leggera italiana. Testo malizioso, melodia accattivante: un piccolo, delizioso capolavoro.

È comunque l'album «Dalla» del 1980 quello che suscita maggiore imbarazzo in chiunque si prefigga di mettere in fila una ideale classifica della produzione del Nostro. Certo, c'è «Futura», il pezzo sul figlio o sulla figlia che negli anni Ottanta avrebbero voluto avere tutti quelli che hanno fatto gli anni Settanta. Pensato bene, scritto benissimo, suonato in maniera eccellente. C'è la ballad «Cara» che forse non tutti ricorderanno ma a tutti ricorderà cosa significhi essere innamorati. E poi c'è «Mambo», pezzo velenoso che proprio con «Cara» è idealmente in contrapposizione: l'uno è un trattato sull'impossibilità dell'amore, l'altro un trattato sull'impossibilità del non amore. Vostro figlio il più piccolo ne avrà bisogno per crescere. Augurategli buon ascolto. E ditegli di ringraziare zio Lucio.

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