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Questo articolo è stato pubblicato il 06 marzo 2012 alle ore 13:30.

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Intervistato dopo aver vinto il prestigioso Costa Prize for Literature a fine gennaio, il romanziere inglese Andrew Miller ha dichiarato che, pur essendo convinto che a breve il grosso della narrativa di genere sarebbe stato letto sullo schermo, pensava e sperava che almeno la narrativa letteraria avrebbe continuato a essere letta su carta. Lo scorso ottobre, in occasione del conferimento del Man Booker Prize, Julian Barnes fece un appello per la salvaguardia del libro stampato, una causa perorata molto caldamente anche da Jonathan Franzen. All'università in cui lavoro alcuni docenti attempati, ma anche certi giovani, guardano con disapprovazione all'idea che qualcuno possa leggere poesie su Kindle. È un sacrilegio.

Hanno ragione?
A livello pratico è fin troppo facile difendere l'ebook. Si può acquistare all'istante da qualsiasi parte del mondo. Costa meno. Non consuma carta, non occupa spazio. Il sistema wireless di Kindle memorizza l'ultima pagina letta, anche aprendo il libro da un dispositivo diverso. Possiamo modificare la dimensione dei caratteri in base alla nostra vista e alle condizioni di luce. Possiamo cambiare il carattere a seconda dei gusti. Stipati in metropolitana, giriamo pagina con una leggera pressione del pollice. Sdraiati a letto non abbiamo più il problema di dover usare due mani per tenere aperto un libro voluminoso.

Vorrei mettere da parte però le questioni pratiche per considerare invece l'esperienza di lettura in sé, il nostro rapporto con il testo. Cos'è che questi letterati temono di perdere, se il romanzo cartaceo dovesse effettivamente tramontare? Di certo non la copertina, troppo spesso luogo di immagini fuorvianti ed elogi stucchevoli. E nemmeno il piacere di far scorrere dita e occhi su una carta di qualità, piacere che rimane uguale leggendo Jane Austen come Dan Brown. Si spera che non sia la qualità della carta a determinare il nostro apprezzamento dei classici.

Il problema è forse che l'ebook non permette di trovare una frase ricordandone la posizione sulla pagina? O è il nostro amore per i commenti (di lode e disgusto) scribacchiati ai margini? Basta provare l'ebook per capire quante abitudini ci saranno precluse, quante sono le abilità maturate nel corso degli anni che ormai non servono più. Non possiamo scorrere velocemente le pagine per vedere dove finirà il capitolo, o se un certo personaggio morirà adesso o più in là. In generale l'ebook non è fatto per essere sfogliato, e sebbene la barra in fondo allo schermo – che indica la percentuale di testo già letta – ci dia una vaga idea del punto in cui siamo arrivati, non abbiamo il senso rassicurante del peso fisico dell'oggetto (come sono orgogliosi i bambini quando finiscono il loro primo libro lungo!) né i piaceri computazionali dei numeri di pagina («Papà, oggi ho letto 50 pagine!»). Questo può essere un ostacolo per gli accademici: difficile citare con precisione un passaggio non potendone indicare la pagina.

Ma queste abitudini sono proprio indispensabili? E se in realtà ci distraessero dalla parola scritta in sé? Anche la lettura sui rotoli di pergamena avrà avuto pregi che noi ignoriamo, eppure abbiamo vissuto felicemente senza. C'era chi paventava la scomparsa della calligrafia, nel momento in cui la stampa introdusse i caratteri impersonali, convinto che i lettori seri avrebbero sempre preferito vedere i libri seri copiati a mano.

Quali sono allora i tratti che contraddistinguono la letteratura come mezzo d'espressione e forma d'arte? A differenza della pittura non c'è un'immagine fisica da contemplare, niente che si imprima sull'occhio nello stesso modo a parità di condizioni visive. A differenza della scultura non c'è un manufatto che si possa aggirare e toccare. Non bisogna viaggiare per guardare la letteratura. Non bisogna mettersi in coda o stare in mezzo alla calca, né preoccuparsi di trovare un buon posto. A differenza della musica non bisogna rispettarne i tempi, accettando un'esperienza dalla durata fissa. Non la si può seguire ballando o cantando, né farle una foto o un video con il cellulare.

La letteratura è fatta di parole, scritte o parlate. Se parlate, il volume e la velocità e l'accento possono variare. Se scritte, le parole possono essere riprodotte in questo o quel carattere su qualsiasi materiale con qualsiasi impaginazione. Joyce resta sempre Joyce, che sia in Baskerville o in Times New Roman. Inoltre possiamo leggere a qualsiasi velocità, interrompendoci tutte le volte che vogliamo. Chi legge La divina commedia in due settimane non l'ha letto né più né meno di qualcuno che abbia impiegato tre mesi, o tre anni.

Solo la sequenza delle parole deve restare invariata. Di un testo possiamo cambiare tutto tranne le parole e l'ordine in cui compaiono. L'esperienza della lettura non si limita a un momento di percezione, né al contatto fisico con l'oggetto materiale (ancor meno al "possesso" di bei capolavori schierati sugli scaffali), ma consiste nello spostamento della mente lungo una sequenza di parole, dal principio alla fine. Più di qualsiasi altra forma d'arte è puro materiale mentale, è quanto v'è di più vicino al pensiero. Mandata a memoria, una poesia è un'opera letteraria nella nostra mente quanto lo è sulla pagina. Basta pronunciare le parole in sequenza, perfino restando in silenzio, per avere un'esperienza letteraria-forse ancora più intensa di quella di leggere dalla pagina. È vero che possedere l'oggetto - Guerra e pace o I promessi sposi - e ordinare questi e altri classici in base alla cronologia e alla nazione di origine ci darà un'illusione di controllo, quasi avessimo "acquisito" e "assimilato" e "collocato" vari pezzi di cultura. Forse è a questo che la gente è affezionata. Ma in realtà sappiamo tutti che una volta terminata la sequenza di parole e chiuso il libro è difficile, meravigliosamente difficile, qualificare ciò che resta in nostro possesso: una ricchezza (e alle volte un'irritazione) che niente ha a che vedere con il pesante volume di carta appoggiato sullo scaffale.

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